I crac cinesi che possono azzoppare la ripresa

I crac cinesi che possono azzoppare la ripresa
La Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo (Unctad) prevede per l’economia globale l’incremento più rapido da cinquant’anni a questa...

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La Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo (Unctad) prevede per l’economia globale l’incremento più rapido da cinquant’anni a questa parte. Il rapporto, pubblicato in questi giorni, stima una crescita del 5,3% per quest’anno e del 3,6% nel 2022, con un calo dovuto alle incognite ancora presenti nell’evoluzione della pandemia e nelle scelte di politica economica. Il timore è di un eventuale ritorno alla deregolamentazione e all’austerità, che frenerebbe il rimbalzo di questa fase di ripresa. Inoltre, viene evidenziato, di fronte a una risposta di carattere espansivo dei Paesi avanzati, il blocco dei Paesi in via di sviluppo in uno stato di perdurante stress economico. 

La scarsa disponibilità di vaccini, il pesante fardello del debito e la conseguente carenza di autonomia monetaria comprimono le possibilità di crescita di queste aree e alimentano un ulteriore allargamento del divario con le economie più progredite. Luci e ombre, che si rincorrono lungo una prospettiva di indeterminatezza durante una transizione. 

In questo quadro, l’Europa mostra i suoi tratti migliori, recuperando più celermente delle attese (con uno sviluppo del 5%, nell’area euro, per il 2021) e promettendo di tornare, come indicato da Christine Lagarde, ai livelli pre-Covid prima della fine dell’anno. L’Italia è passata, da fanalino di coda dell’Unione Europea, a protagonista della ripresa continentale, tanto da sorprendere Fitch per la velocità della rimonta. L’agenzia di rating, nel Global Economic Outlook, ha rivisto al rialzo le stime di aumento del Pil nazionale, portandolo al 5,7% per il 2021. Tuttavia, queste buone notizie rischiano di essere offuscate da nubi all’orizzonte dell’economia mondiale. 

L’inflazione è in bilico tra un’ascesa congiunturale e segnali di risalita duratura, ben oltre percentuali considerate positive, come avevamo anticipato nei mesi scorsi, sostenendo che il fenomeno non andava trascurato, specie in connessione con il rigonfiamento del debito pubblico. Analoghe preoccupazioni sono espresse da Howard Davies, presidente di NatWest, e Augustín Carstens, direttore della Banca dei Regolamenti Internazionali, che temono, dopo un accomodamento macroeconomico senza precedenti, una replica monetarista all’intensificazione delle pressioni sui prezzi. La scarsità delle materie prime e dei microcomponenti sul mercato mondiale, insieme ai rincari energetici, non è soltanto un motore dell’inflazione, ma determina un rallentamento della produzione manifatturiera in molti settori, indebolendo la spinta del Recovery Plan. Ursula von der Leyen è corsa ai ripari, proponendo la costruzione di una via di accesso globale (Global gateway) per assicurare all’Europa gli approvvigionamenti di cui necessita. 

Comunque, non sono solo queste trame a oscurare il prossimo futuro. Negli Stati Uniti, il boom senza precedenti di Wall Street non è tutto oro. Infatti, nonostante un’inflazione al 5,4%, il pericolo di innescare il detonatore di un crollo di valori di mercato sproporzionati potrebbe indurre la Fed a uno slittamento dell’intervento sui tassi d’interesse, rivelando un’apprensione per la solidità della ripresa. Non a caso, il Fondo Monetario Internazionale ha ammonito sull’esigenza di riforme sostanziali per rafforzare i fondi di investimento e prevenire nuove turbolenze sui mercati finanziari. Il sintomo più preoccupante per l’economia, però, viene dalla Cina. Alla crisi demografica si aggiunge un debito privo di controllo. Huarong, la bad bank statale chiamata a gestire i crediti problematici dei conglomerati finanziari, ha subito perdite per 13,5 miliardi di euro nel 2020, richiedendo un’ardua azione di salvataggio pubblico. Altre criticità si affacciano sulla finanza cinese, come quella del gruppo Baoneng, con esposizioni per 26,2 miliardi di euro. Ma l’esempio a rapido rischio di default è quello del colosso immobiliare Evergrande, con passività per circa 260 miliardi di euro, una svalutazione delle azioni del 70% in un anno e una caduta dei profitti di quasi il 30%. 

L’unica analogia con la crisi dei mutui subprime, evocata da George Soros, potrebbe essere l’effetto domino sul sistema immobiliare e finanziario interno. Il governo cinese è abituato a ballare sull’indebitamento e a compiere interventi pubblici spericolati, ma il gioco si è fatto troppo grosso e può danneggiare seriamente l’avanzata del Dragone. Altra cosa è l’improbabile propagazione di questa turbolenza al resto del mondo, nonostante la persistenza di componenti generali di forte incertezza e instabilità. La confusione sotto il cielo è sicuramente grande, ma aspettiamo le prossime mosse sullo scenario globale prima di dire che la situazione è eccellente.

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Il Mattino