L'onda azzurra e la trappola dell'euforia

L'onda azzurra e la trappola dell'euforia
Dove eravamo rimasti? A quei rigori sbagliati dagli sciagurati Pellé e Zaza contro la Germania nello stadio di Bordeaux, 2 luglio, Europei 2016. Poi l’Italia è...

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Dove eravamo rimasti? A quei rigori sbagliati dagli sciagurati Pellé e Zaza contro la Germania nello stadio di Bordeaux, 2 luglio, Europei 2016. Poi l’Italia è sparita dal palcoscenico condannata da un altro sciagurato - l’ex commissario tecnico Ventura - a saltare il Mondiale 2018.

Adesso ha l’onore di aprire Euro2020 che si gioca con dodici mesi di ritardo e accetta l’onere di essere una delle favorite, in virtù del positivo score e del brillante gioco di Mancini, che ha confermato le sue grandi doti in panchina vincendo 23 delle 33 partite della sua gestione. Ma c’è un ma ed è opportuna la cautela. In queste 33 partite l’Italia ha soltanto due volte affrontato un’avversaria di prima fascia, escludendo l’amichevole con la Francia prima del Mondiale vinto dai Bleus in Russia: nella Nations League 2018 sfidò il Portogallo campione d’Europa, sconfitta e pareggio. Dunque, cautela, perché il difficile arriva inevitabilmente adesso. Il girone appare abbordabile anche se la Turchia - prima avversaria domani all’Olimpico aperto a 14mila spettatori - ha un bomber d’esperienza, Yilmaz, che ha vinto il campionato francese con il Lille e un gruppo giovane (l’età media più bassa del torneo, 24.9 anni) e carico di entusiasmo. E di relativa difficoltà, in caso di primo posto nel girone, potrebbe essere anche l’ottavo di finale mentre l’ottavo rischia di riservare il confronto col Belgio di Lukaku e Mertens.

Mancini, grande motivatore, ha detto che il suo obiettivo è la finale di Wembley dell’11 luglio e ha augurato al ventunenne Raspadori di essere come Pablito Rossi al Mundial del ‘78. Ma non si nasconde le difficoltà di questa missione, che gestirà con la sicurezza e l’autorevolezza di chi ha avuto il mandato di guidare la Nazionale fino al 2026. La storia dimostra che nelle difficoltà la squadra azzurra si esalta: era accaduto nell’82, quando c’era chi sputava veleno sugli uomini di Bearzot, come nel 2006, quando Lippi - non si capisce perché - avrebbe dovuto tornare subito a casa perché era scoppiata Calciopoli. Furono due trionfi. Quando si è creato un clima di ottimismo intorno alla squadra, vi sono state delusioni cocenti, come quella di Italia ‘90. E l’Europeo è stato vinto una volta sola, nel ‘68, proprio all’Olimpico. Dunque, cautela, con la consapevolezza che in questa Coppa itinerante - 11 città di 11 Paesi - che vuole riappropriarsi della normalità calcistica la grande favorita è la Francia campione del mondo, che ha aggiunto alla squadra di tre anni fa Benzema, 30 gol nell’ultima stagione col Real.

Il lavoro di Mancini è stato importante sul piano dell’autostima perché ha eliminato la caratteristica sparagnina, diciamo pure catenacciara. La difesa funziona (zero gol subiti nelle ultime 8 gare ma non c’erano avversari particolarmente forti) e il 4-3-3 di sarriana ispirazione - non a caso Insigne è un uomo chiave della Nazionale - è lo sguardo proteso verso la porta avversaria, la verticalizzazione puntuale, il pressing costante. Al centro del gioco c’è un pilastro di quel bel Napoli, Jorginho. E c’è un altro centrocampista di assoluta qualità, Barella, uno nato per attaccare. La prima linea è made in Sud: il calabrese Berardi a destra preferito a Chiesa (e a Politano, che avrebbe meritato di essere nell’elenco dei 26 dopo l’ottima stagione a Napoli), poi i napoletani Immobile e Insigne, la cui sintonia è nata nove anni fa nell’ultima meraviglia zemaniana, il Pescara che salì in serie A.



Ciro, Scarpa d’oro 2020, si gioca molto nei primi 90’ dell’Europeo a casa sua. La scelta di Mancini è stata agevolata dal grigiore di Belotti, salvatosi col Torino alla penultima giornata, però adesso il bomber di Torre Annunziata deve prendere per mano l’Italia con il ragazzo di Frattamaggiore che è diventato il leader del Napoli. Il ct aspetta i gol dalla squadra, non solo dalle tre punte, perché la sua Nazionale è veramente squadra, un concetto che in quasi tre anni di lavoro è riuscito a trasmettere e far comprendere ai 67 convocati, da Chiellini a Raspadori. A proposito dello juventino, c’è un interrogativo sulla tenuta fisica della difesa perché Chiellini e Bonucci sono reduci da una stagione non brillante e l’età incalza. Ma hanno personalità ed esperienza, doti fondamentali in questa competizione. Peraltro, Mancini non è abituato a ragionare come tanti dei suoi predecessori con la logica dei “blocchi” perché quando era giocatore, il migliore della grande Samp, faticava a trovare spazio, quasi fosse in una provinciale. Il punto è un altro: il materiale in serie A è questo e il Mancio è stato bravo ad esaltarlo. Adesso dovrebbe fare un’impresa.
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Il Mattino