Internet ci rende liberi, se non ci inganna. La conferma giunge dalla Turchia, impegnata in una crisi finanziaria che si ripercuote anche sulla borsa di Milano. Siamo più...
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È un circolo virtuoso. Gli italiani che non parlano l’inglese leggono i giornalisti che lo conoscono. Il sito della Casa Bianca ha pubblicato, giorno per giorno, il numero delle incursioni aeree contro le postazioni dell’Isis. Grazie a quei dati, incrociati con altri, abbiamo potuto offrire, proprio su queste pagine, una previsione sui tempi di caduta dello Stato Islamico e sulle sue contromosse.
Purtroppo, il sogno finisce qui. Internet dissemina tante notizie false. E siccome il web non può essere bloccato, senza causare un regresso enorme della conoscenza, provocato dalla “scomparsa” dei migliori quotidiani del mondo, resta soltanto una strada: educarsi all’uso del web. Nell’immediato, significa proteggere i risparmi degli italiani. È agevole spiegare perché. Le banche italiane hanno investito in Turchia. Se il web viene invaso da notizie false sulla capacità di tenuta dell’economia turca, le banche italiane ne avranno un danno perché migliaia di persone si abbandoneranno a comportamenti dannosi per l’economia turca con ripercussioni sulla borsa di Milano. Il lettore alla ricerca di notizie sulla crisi turca – se educato bene – attingerà ai siti dei quotidiani più noti per autorevolezza e storia. Per molto tempo, internet è stato visto come uno strumento per combattere i media tradizionali. Non c’è dubbio che abbia svolto una benefica azione riformatrice. Tuttavia, stampa, tv e radio, restano le fonti d’informazione più sicure nelle società libere. La carta stampata resta la fonte più affidabile giacché la responsabilità di ciò che è scritto su carta è immediatamente identificabile, perseguibile e non modificabile. Tutto questo aiuta a comprendere la decisione del governo turco di avviare un’indagine su centinaia di utenti internet che stanno diffondendo notizie false sulla lira turca. Il problema potrebbe riguardare anche l’Italia. Giancarlo Giorgetti, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, ha affermato che qualcuno vorrebbe utilizzare i mercati per destabilizzare il Paese. Se destabilizzazione ci sarà, passerà per internet.
Domandiamoci, ora, perché Trump sta operando per destabilizzare la Turchia. Anche qui, la risposta è agevole. Trump vede in Erdogan un temibile antagonista. La crescita economica della Turchia lo spaventa. Trump sa - perché è una legge del mutamento internazionale - che un Paese ricco tende ad accrescere la spesa militare. Trump vuole fare alla Turchia ciò che sta facendo alla Cina. Opera per determinare la caduta delle loro economie in modo che abbiano meno soldi per costruire aerei e carrarmati. Erdogan ne ha in quantità. Ha infatti il secondo esercito più grande della Nato. Il problema è che utilizza questo esercito per far avanzare gli interessi della Turchia in Medio Oriente, come dimostra l’apertura di una base militare in Qatar, l’occupazione di una parte dell’Iraq, l’acquisto di un sistema missilistico da Putin e il rifiuto di stracciare gli accordi con l’Iran, contro cui è stanco di applicare le sanzioni in base al capriccio americano, che un giorno firma gli accordi e il giorno dopo li straccia. Erdogan non soltanto si è opposto a Trump, ma lo ha addirittura piegato. Nel nord della Siria, gli ha impedito di creare uno Stato curdo sotto il controllo americano. Per non parlare dell’opposizione al trasferimento dell’ambasciata americana a Gerusalemme e dei rapporti tesi con Netanyahu, adorato da Trump. La crisi tra Erdogan e Trump, che ha investito la lira turca, è la tipica crisi tra un Paese che vuole piegare, gli Stati Uniti, e un Paese che non vuole piegarsi, la Turchia. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino