Giulia Tramontano. Violenza e pregiudizi, quella montagna ancora da scalare

Giulia Tramontano. Violenza e pregiudizi, quella montagna ancora da scalare
Questa è la storia di un uomo che ha ritenuto di poter fare del corpo delle donne l’uso che voleva. E purtroppo è soprattutto la storia della fine di una...

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Questa è la storia di un uomo che ha ritenuto di poter fare del corpo delle donne l’uso che voleva. E purtroppo è soprattutto la storia della fine di una ragazza il cui corpo è stato usato, profanato, annientato mentre portava in grembo la sua creatura, al settimo mese di gravidanza. 

Lei, Giulia Tramontano, era una ragazza di Sant’Antimo, aveva 29 anni, era stata studentessa di russo all’Orientale, si era trasferita a Milano dove faceva l’agente immobiliare e viveva con il fidanzato.

E se qui è da lui che si vuol partire per dire dell’ennesimo estremo oltraggio a corpo di donna, è per una ragione: ogni femminicidio ha in comune l’esito finale, ma ciascuno aggiunge una sfumatura in più, che definisce con sempre maggiore varietà la galleria degli orrori di cui mente maschile può essere capace. C’è chi usa la pistola, chi l’acido, chi la benzina, chi l’accetta o il martello o un’auto, chi un badile o un coltello o una corda o altro ancora.

Ma il contributo dell’assassino di Giulia e della sua creatura al tremendo affresco si colloca nella zona delle nuances più torbide e perverse. Perché le sue armi sono state la crudeltà, la premeditazione, la menzogna, il cinismo, la freddezza. Con queste ha messo a segno il suo intendimento, di stroncare le vite di Giulia e della creatura prossima a venire alla luce, pur di liberarsi di una realtà percepita come fastidio.

Lui si chiama Alessandro Impagnatiello, viene dipinto da chi lo ha conosciuto come un narcisista patologico e fa – faceva – il barman in un locale di gran lusso, il Bamboo bar di via Montenapoleone, al settimo piano dell’hotel l’Armani, cinque stelle, clientela che può spendere.

La gravidanza di Giulia, quel ventre arrotondato delle immagini postate sui social che la ragazza si accarezzava, al barman deve essere apparsa come una minaccia. Qualcosa che metteva a rischio la doppia vita dai bagliori glamour che si era costruito. Perché insidiava la sua condotta da predatore impegnato in un’altra relazione con una dipendente italo-inglese del suo stesso bar poco più che ventenne, a sua volta ingravidata ma poi ricorsa all’aborto. 
Lui è uno che le donne le tratta come stracci vecchi da buttare via dopo l’uso, come pupazze da ingannare. I figli sono tutt’al più un paravento, tant’è che dopo l’assassinio lui si è rifugiato dalla ex moglie presso il suo bambino di sei anni, per farsi schermo di un alibi o qualcosa del genere. E sembrerebbe proprio l’inganno la cifra di quest’individuo: prima che tutto accadesse, quando la ragazza ventenne ha scoperto l’altra relazione di Alessandro, ha presentato a lei un falso esame del Dna negando di essere il padre della creatura attesa da Giulia, l’ha descritta come bipolare, una a rischio suicidio.

La ventenne per un po’ ha abboccato, ha creduto alla generosità di quell’uomo preoccupato della salute mentale dell’altra, poi ha scoperto la verità e si è messa in contatto con Giulia. E quando insieme a lei ha chiarito i contorni del duplice inganno che ne faceva non due rivali ma due vittime, l’ego narcisista di lui stava per andare in frantumi.

Non c’è niente di peggio, per una personalità abituata ad ingannare le persone, che vederle trasformarsi in alleate contro di lui. Allora l’uomo ha reagito costruendo lucidamente la sua strategia per liberarsi di Giulia e, dopo averla accoltellata a morte, ha tentato di darle fuoco prima inondandola di alcol nella vasca del bagno, poi cospargendola di benzina fuori di casa. Infine l’ha nascosta nell’anfratto di un box, in mezzo ai rifiuti. E non è immaginabile che cosa sia accaduto intanto alla creatura custodita nell’ansa del ventre della madre. Quel che è certo è che entrambe le vite sono state buttate via come pezze lacere e sporche di cui sbarazzarsi.

Ora si dirà che la legge contro il femminicidio è un fallimento e non risolve. Spunteranno statistiche da mettersi le mani nei capelli. Ma una legge è solo una legge e non una rivoluzione, a volte può essere qualcosa che è migliorabile ma è pur sempre meglio del niente che c’era prima. Così siamo costretti a prendere atto che ancora e ancora il problema riguarda la dannata testa degli uomini dove si annida la smania di possesso, l’idea di ritenere un corpo di donna una cosa propria, di cui disporre, perché lei è donna e solo per quello.

E allora sì, il problema è ancora tutto qui, enorme, la soluzione non c’è oppure sta sulla cima di una montagna insormontabile fatta di violenza, pregiudizi, mancanza di rispetto dell’altro, deficit di affettività, senso di delegittimazione, paura di detronizzazione. Paura che crea paura. La soluzione non è vicina, non ancora, e saremo costretti a vederne di altre, a scrivere ancora articoli come questo. Ma quella maledetta montagna va scalata, anche con le leggi e soprattutto con un paziente rivolgimento vero e totale, dei più difficili, di quelli che devono avvenire nelle mentalità, nelle interiorità, nelle teste degli uomini e di tutti.

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Il Mattino