L'avvocato e il colpo di spugna sul passato

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Giuseppe Conte ha presentato ieri alla Camera «un progetto di governo del Paese fortemente connotato sul piano politico»: sono sue parole, pronunciate in apertura del...

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Giuseppe Conte ha presentato ieri alla Camera «un progetto di governo del Paese fortemente connotato sul piano politico»: sono sue parole, pronunciate in apertura del discorso, subito dopo i ringraziamenti di rito al Presidente della Repubblica. E la domanda sorge subito spontanea: da cosa dipende la forte connotazione politica di un governo?


Per il Presidente del Consiglio, anzitutto dalla novità:« Nuovo è (il governo, ndr) nella sua impostazione, nel suo impianto progettuale, nella determinazione a invertire gli indirizzi meno efficaci delle pregresse azioni». Sono ancora sue parole, ma non poi così fortemente connotate come il premier vorrebbe darci a intendere. In generale, del suo intervento tutto si potrà dire, meno che possegga una forte connotazione. In particolare, è singolarmente eufemistico, se non proprio reticente, riferirsi al passato governo parlando solo di «pregresse azioni» che sarebbe state, in certi casi, «meno efficaci» del dovuto, così da rendere necessaria un’inversione.
Che effettivamente c’è stata, se al governo non c’è più la Lega, con i 5Stelle, bensì il Pd, ed è forse su questa inversione che Conte si sarebbe dovuto spiegare, se davvero avesse voluto dare una forte connotazione politica al suo «progetto di governo». Parlare una nuova «lingua mite» e promuovere una «democrazia autenticamente umana» è bello e nobile, auspicabile e anzi necessario, ma politicamente non connota un bel nulla.

Politicamente, è inutile girarci attorno: questo non è un governo fatto per promuovere una democrazia autenticamente umana e una lingua mite, ma per mandare Salvini all’opposizione, sventare il ricorso alle urne e, più in là, eleggere il Presidente della Repubblica. Con la complicazione, tuttavia, che nonostante la spettacolare inversione il Presidente del Consiglio è lo stesso che con la Lega ha governato fino a un mese fa. Ed è, inoltre, il Presidente che un anno e mezzo fa, nel Senato della Repubblica, presentava anche il suo primo esecutivo come una eclatante novità. Di ben altro segno, però:
«Qualcuno ha considerato queste novità in termini di netta cesura con le prassi istituzionali che sin qui hanno accompagnato la storia repubblicana, quasi un attentato alle convenzioni non scritte che hanno caratterizzato l’ordinario percorso istituzionale del nostro Paese. Tutto vero». Diciamo pure noi la verità: queste sì che erano parole fortemente connotate (e anche un po’ inquietanti), non quelle di ieri.

Non basta. Nella replica, lasciando perdere i generici contenuti programmatici esposti fin lì, Conte ha provato a trovare qualche ragione più solida dei buoni propositi, degli ideali e degli orizzonti culturali, anche se non tutto è filato liscio. (E forse, per la vivacità delle contestazioni, Conte non è stato nemmeno lucidissimo, reagendo a braccio). Accusare infatti la Lega di aver seguito le proprie convenienze con la richiesta di elezioni, invece di servire l’interesse della Nazione, e difendere i Cinque Stelle sostenendo che non hanno perpetrato un tradimento, ma lo hanno semmai subito, può forse avere qualche chance di funzionare come argomento retorico, ma in concreto significa solo una cosa: che se Salvini non avesse presentato la mozione di sfiducia, nel fatale mese di agosto, Conte sarebbe rimasto volentieri al governo con i gialloverdi. Ma come può il premier avanzare un simile ragionamento, mentre si presenta al Parlamento con una maggioranza diversamente colorata?

C’era ovviamente, nelle sue dichiarazioni, un filo di imbarazzo per l’inversione di cui è stato il perno – strana specie di motore immobile intorno a cui han ruotato opposte maggioranze –, ma anche, al fondo, una contraddizione sostanziale. Delle due, infatti, l’una: o questo governo ha davvero una forte connotazione politica, e allora Conte non può rivendicare alcuna coerenza nel suo percorso da una maggioranza all’altra; oppure non ce l’ha, e allora Conte può difendere la sua personale coerenza (e insieme quella dei 5S), abbassando però le forze politiche a semplici mezzi, più o meno affidabili, per realizzare certi obiettivi che sarebbero nell’interesse generale del Paese: la Lega si sarebbe dunque rivelata inaffidabile, i Cinque Stelle invece affidabili («perciò lavoro volentieri con loro»), e Il Pd pure sarebbe divenuto, nel breve volgere di un mese, improvvisamente affidabile. Questa seconda via è certamente quella che più gli giova – e quella che gli italiani, che non amano affatto i partiti, mostrano di apprezzare, premiando il «garante» Conte nei sondaggi –, ma ha il difetto di non recare con sé la “forte connotazione” che il premier ha provato a rivendicare, e soprattutto di cozzare con le esigenze del Pd, che non può limitarsi a prendere il posto della Lega come partner finalmente affidabile dei Cinque Stelle, e sempre più pare intenzionato a scommettere sul significato politico di questa svolta.


Questo significato rimane dunque sospeso nell’aria, come una nube: c’è chi lo rivendica convintamente, chi lo nega, chi lo auspica e chi ne farebbe a meno, chi lo colloca a sinistra-sinistra e chi, invece, lo legge in continuità con le «pregresse azioni». Dal modo in cui prenderà una forma (o pioverà a terra) dipenderà la durata di questo governo. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino