Green pass, il nuovo Papeete ​di Salvini

Green pass, il nuovo Papeete di Salvini
Per quali ragioni – politiche e come tali razionali – Lega e Fratelli d’Italia hanno scelto di cavalcare le proteste contro la decisione del governo di...

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Per quali ragioni – politiche e come tali razionali – Lega e Fratelli d’Italia hanno scelto di cavalcare le proteste contro la decisione del governo di introdurre il Green pass obbligatorio?


Per ottenere facili consensi, è la facile risposta. In realtà, parliamo di un movimento – quello genericamente definito no-vax, contrario all’obbligo vaccinale e all’esibizione di un qualunque certificato come lasciapassare per l’attività sociale – decisamente minoritario, capace di far un gran rumore in rete ma non di mobilitare grandi folle o di riempire le piazze, come si è visto in questi giorni. In Italia, siamo molto lontani dai numeri francesi, dove le contestazioni hanno però anche altre motivazioni.

Un movimento peraltro a dir poco composito, che include dall’arrabbiato cronico (di quelli che nemmeno ci pensano d’andare a votare) al no-global d’estrema sinistra che ce l’ha a morte con le multinazionali del farmaco, dall’ecologista che per curarsi da qualsiasi malanno preferisce l’erboristeria alla chimica a quello che non si è mai fidato della scienza e degli scienziati (figurarsi ora), dal paranoico complottista che lo sa lui chi comanda davvero il mondo alla mamma (giustamente) preoccupata per la salute dei suoi bambini (ma allora perché non si vaccina?), dal pensionato che un amico gli ha detto che un altro amico gli ha detto che i vaccini lo sanno tutti che fanno male al grillino deluso dalla svolta perbenista-governista del M5S.

Insomma, un patchwork sociale e politico-ideologico dal quale si rischia di ricavare davvero poco in termini di voti. Tra l’altro, interrogati nei giorni scorsi dai sondaggisti, gli elettori di entrambi i partiti si sono dichiarati in maggioranza favorevoli al Green pass. Dove sta dunque il guadagno politico di mettersi alla guida della protesta contro lo Stato gendarme, accusato di comprimere la libertà di scelta e movimento dei suoi cittadini, quando nemmeno i tuoi elettori più fedeli ti seguono lungo questa strada?

Bisogna dunque cercare altre spiegazioni. Il problema, come è ovvio, riguarda soprattutto Salvini, visto che ha scelto di sostenere Draghi in Parlamento. Protestare per le strade contro le decisioni del governo di cui si fa parte (e dal quale non si ha alcuna intenzione di uscire) può rappresentare una valvola di sfogo. Considerata soprattutto la maggioranza a dir poco eccentrica che sostiene l’esecutivo: se la destra è costretta a stare con la sinistra per stato di necessità, ovvio che entrambe si prendano delle libertà ogni tanto. Ma se diventa un’abitudine o un metodo si rischia, a dir poco, la schizofrenia politica. 

Perché allora Salvini insiste negli ammiccamenti agli anti-vaccinisti, anche a costo di sfidare, ad esempio, la posizione di molti imprenditori del Nord sui storici sostenitori, la gran parte dei quali favorevoli, per frenare la crescita dei contagi, all’adozione di misure restrittive nei luoghi di lavoro?

Probabilmente, nel caso di Salvini bisogna fare ricorsa alla psicologia politica. Al suo essere per formazione e abito mentale un movimentista, un piazzaiolo, uno che si esalta e si carica solo nell’incontro con la folla (fossero anche dieci persone che strepitano davanti al bar). Il suo – già da quando, giovane militante leghista, passava le giornate ai mercati generali a parlare con quelli che facevano la spesa – è un profilo politico da assemblea, da comizio, da lotta continua, da slogan, da baci e abbracci per le strade, come tale poco a suo agio nei ruoli istituzionali. 

Questo modo di essere gli ha consentito negli anni di cogliere con tempestività gli sbalzi nell’umore collettivo e di sfruttarli elettoralmente a suo favore (vedi le campagne sull’immigrazione). Ma il governo, come si è capito col disastro estivo del Papeete e la fine del governo giallo-verde, è un’altra cosa. Salvini sembrava aver imparato la lezione e negli ultimi tempi era diventato più pacato e riflessivo, più attento alla sua credibilità come capo politico e alla sua immagine internazionale. Ma evidente c’è, più forte delle convenienze politiche, il richiamo della foresta. Se qualcuno protesta, lui fa sua la protesta e l’amplifica: è fatto così.

Diverso, in parte, il caso di Fratelli d’Italia, che ieri ha portato il suo dissenso contro il Green pass dentro il Parlamento con forme chiassose. La Meloni ha scelto di stare (da sola) all’opposizione. E un partito di opposizione è normale che provi a cavalcare qualunque opposizione al governo cui ci si oppone. Ma anche in questo caso, come per i vaccini, bisognerebbe chiedersi se il beneficio elettorale (peraltro tutto da dimostrare) di schierarsi con la galassia no-vax sia maggiore del rischio di vedersi confinati in futuro ad un ruolo politicamente marginale. La Meloni ha detto di voler governare l’Italia: diciamo, per brevità, che non è questa la strada giusta per farlo. Viene infatti da chiedersi: sta all’opposizione per scelta meditata o perché (oltre ad essere più comodo) non le riesce di fare altro?

Nel caso della destra-destra meloniana d’origine missina, già statalista e tutta “legge, ordine e disciplina”, c’è poi un altro tema da segnalare, che riguarda lo snaturamento sempre più marcato del suo antico profilo ideale. Parliamo di una sorta di mutazione ideologico-culturale, e in parte anche antropologica, tale per cui mentre prima in quel mondo si esaltavano i valori della comunità e i doveri verso lo Stato, si rendeva omaggio all’autorità costituita e ci si batteva a difesa degli interessi nazionali, oggi vi prevale invece una vena anarco-libertaria e ultra-individualista poco italiana e più vicina al radicalismo conservatore statunitense.

Sembrerebbe, al tempo stesso, un’eredità tardiva e involontariamente assimilata del berlusconismo: non esiste lo Stato, non esiste la società, esiste solo l’Io che agisce senza confini o limiti. Il che spiega la declinazione assai primitiva che a destra si tende a dare, nel dibattito di questi giorni, dell’idea di libertà individuale, come sganciata da qualunque responsabilità sociale o dovere collettivo. Curiosa metamorfosi: dall’organicismo comunitarista al solipsismo di chi riconduce ogni azione all’interesse soggettivo.

Qualcuno dice che in questo schierarsi della destra a sostegno delle posizioni no-vax agisce anche una nobile ragione: la difesa delle minoranze contro l’arbitrio della maggioranza, il diritto al dissenso, la tutela della libertà d’espressione ad opera di un mondo che nel suo passato ormai remoto è stato spesso reietto e tenuto ai margini dal sistema politico ufficiale.

Ma si tratta, per quanto all’apparenza nobile, di una battaglia oggi tardiva e paradossalmente conformistica, visto che se un problema hanno le democrazie contemporanee è esattamente lo strapotere crescente delle minoranze rumorose, rivendicative, aggressive e spesso intolleranti a danno di maggioranze che forse dovrebbero smettere di restare troppo silenziose. 
 

 

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Il Mattino