Se le Stato opera meglio ​delle Regioni

Se le Stato opera meglio delle Regioni
Ci sono temi su cui la politica, che per sua definizione dovrebbe almeno avere come obiettivo la convergenza, risulta al contrario ossessivamente divisiva. Temi che, una volta...

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Ci sono temi su cui la politica, che per sua definizione dovrebbe almeno avere come obiettivo la convergenza, risulta al contrario ossessivamente divisiva. Temi che, una volta analizzati nel dettaglio dal punto di vista tecnico, appaiono sotto innumerevoli sfumature di colore, ben lontano da quel “bianco o nero” che invece, per eccessive e fuorvianti semplificazioni, sembrano diventare le uniche opzioni possibili. 

Del resto, lo ripetevano già i nostri latini: “In medio stat virtus”; o anche l’oraziano “est modus in rebus”. Massime che hanno resistito al tempo proprio per la loro universalità, o quasi: escludendo, per lo più, discussioni su principi etici. Ecco: il federalismo fiscale non appartiene certo a quest’ultima categoria di discussioni morali. Da un lato, non si può accusare il federalismo, in sé, di portare a una sicura rovina del Paese: altrimenti non potremmo citare casi come gli Stati uniti, il Canada o la Svizzera come esempi di paesi avanzati economicamente e politicamente. Tuttavia, nemmeno il federalismo - o, per restare nel quadro istituzionale italiano, il regionalismo - può essere presentato e dipinto come la panacea di ogni male. 

Non saranno certo oltre trent’anni di retorica leghista a cambiare le cose; tanto più che le evidenze accumulate in questo periodo, in particolare dal 2001 in poi, anno della (ardita) riscrittura del Titolo V della seconda parte della Costituzione, sono più contrarie alla causa del regionalismo che a favore. Ha quindi davvero poco senso assumere posizioni per partito preso: tanto per quanto riguarda il dibattito sul federalismo fiscale quanto per quello sulla più attuale autonomia differenziata. E quanto, ancora, in quello sulla definizione dei livelli essenziali delle prestazioni, vale a dire i trattamenti minimi per i servizi fondamentali che devono essere soddisfatti su tutto il territorio nazionale (per esempio sanità, istruzione, assistenza, etc.).

La Costituzione italiana, per quanto pregevole sotto alcuni aspetti, è anche criticabile sotto altri. Uno di questi è certamente la confusione che i nuovi articoli 116 e 117 hanno portato nel dibattito sul rapporto tra Stato centrale e regioni. Il principio, sia chiaro, è anche corretto: vale a dire, riconoscere che alcune materie sono svolte meglio dallo Stato centrale e altre meglio dalle regioni. Tuttavia, l’eccessiva numerosità delle materie di competenza concorrente (art. 117 comma 3), la possibilità di autonomia differenziata anche su materie di esclusiva competenza statale (art. 116 comma 3), e la discutibilità di materie lasciate in maniera residuale alla competenza regionale (art. 117 comma 4), hanno portato forse più confusione che chiarezza ai rapporti tra Stato centrale e governi regionali e quindi all’efficacia delle politiche pubbliche. 

Numeri alla mano, la ricerca accademica potrebbe stabilire che in presenza di grandi economie di scala (i costi medi di produzione diminuiscono all’aumentare delle quantità prodotte) o di esternalità (le scelte di una regione hanno effetti anche su altre regioni), la produzione di beni e servizi debba essere effettuata a livello centrale. Forse l’ultimo esempio, in ordine di tempo, di come la centralizzazione possa funzionare meglio del decentramento è quello della gestione dei Fondi strutturali assegnati dall’Unione europea alle varie regioni.

L’Italia, dispiace ammetterlo, non si è sempre contraddistinta per l’efficienza e l’efficacia nel loro utilizzo. Con la conseguenza che le risorse non utilizzate hanno piano piano lasciato il nostro paese per approdare a regioni magari meno meritevoli dal punto di vista economico ma decisamente più efficaci. Dal nord al sud del paese, le difficoltà di utilizzo dei fondi europei o, il che è una ulteriore ma non secondaria dimensione del problema, la velocità di questo utilizzo, non fanno certo giustizia alle reali necessità del nostro paese. Al contrario, finora la gestione del Piano nazionale di ripresa e resilienza ha dato buoni frutti. Le difficoltà più recenti sono ascrivibili a questioni più politiche che tecniche, nonché all’effetto che l’inflazione ha avuto anche sui costi dei progetti. Il ruolo dello Stato centrale, e in fin dei conti la sua supremazia in alcuni ambiti, non può quindi essere semplicemente ignorato o cancellato da nessuna riforma. Soprattutto quando manca il consenso della maggior parte dell’elettorato.
 

 

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Il Mattino