Il non decoro dei Decumani ​uno schiaffo alla storia

Il non decoro dei Decumani uno schiaffo alla storia
Non è sempre necessaria una guerra per perdere la sovranità sulle parti di una città. La capacità di controllo su un territorio può guastarsi in...

OFFERTA SPECIALE

2 ANNI
99,98€
40€
Per 2 anni
SCEGLI ORA
OFFERTA FLASH
ANNUALE
49,99€
19€
Per 1 anno
SCEGLI ORA
 
MENSILE
4,99€
1€ AL MESE
Per 3 mesi
SCEGLI ORA

OFFERTA SPECIALE

OFFERTA SPECIALE
MENSILE
4,99€
1€ AL MESE
Per 3 mesi
SCEGLI ORA
 
ANNUALE
49,99€
11,99€
Per 1 anno
SCEGLI ORA
2 ANNI
99,98€
29€
Per 2 anni
SCEGLI ORA
OFFERTA SPECIALE

Tutto il sito - Mese

6,99€ 1 € al mese x 12 mesi

Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese

oppure
1€ al mese per 3 mesi

Tutto il sito - Anno

79,99€ 9,99 € per 1 anno

Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno

Non è sempre necessaria una guerra per perdere la sovranità sulle parti di una città. La capacità di controllo su un territorio può guastarsi in mille modi diversi. A Napoli stiamo perdendo il controllo sul centro storico. O lo abbiamo già perso? E questo lento affievolirsi, irreversibile oppure ancora recuperabile, sta accadendo sotto gli occhi di tutti, senza che nessuno mostri di avere granché voglia di intervenire. 

Il centro storico di questa città è diventato brutto. È un processo la cui complessità ha molte caratteristiche e spiegazioni, ma il risultato resta quello. Brutte sono le masse disordinate di turisti. Brutta la maggior parte dei ristoranti, dei bar e delle pizzerie. Brutte le sue strade attraversate da scooter aggressivi e auto ingombranti, brutte le sue piazze sporche e non presidiate. Brutti gli approcci insistenti di camerieri “buttadentro” e brutti i giacigli di cartone utilizzati da disperati senzatetto come ricoveri notturni. E brutte – perché incarognite dal continuo parapiglia, abbrutite dallo scompiglio – le facce dei residenti, che a mano a mano che avanza la stagione di sole e caldo si trovano invischiati dentro un incubo, reclusi in uno spazio che non riescono più a riconoscere come casa. Viaggiano a piede libero, ma si sentono e sono ergastolani isolati e segregati. Liberi, ma in galera, perché separati dal vasto continente turistico in cui vivono, impraticabile per loro che ne ignorano le leggi. Simili a tanti agrimensori K., come nel “Castello” di Franz Kafka, esuli in patria che vivono ai margini del magico castello dove si decidono, o dimenticano, i loro destini. 

Questo è oggi il centro storico di Napoli. Il suo apparente universalismo, sotto l’etichetta vuota Unesco di “Patrimonio mondiale dell’umanità”, maschera evidenti e insuperabili particolarismi. Sembra di tutti e per tutti, non è più di nessuno, se non di chi decide che sia diventato suo. Per questo, una identità del centro storico non esiste più. Non è una patria per nessuno, nonostante gli sperperi di parole di elogio e di entusiasmo per i ritrovati, mastodontici volumi di turismo, tornati pressoché identici a quelli che erano prima della pandemia. Quale napoletano ama oggi il centro storico come un pezzo di casa sua, della sua città? I valori di quella parte di città hanno lasciato posto al valore. È accaduto a Venezia, a Firenze, a Roma. Stava accadendo a Napoli, certo con minore intensità e virulenza, e forse è stato questo processo lento che ha ingannato non pochi osservatori onesti e intelligenti. Ma quel che stava accadendo, oggi sembra accaduto. Cioè stabilizzato e strutturale. 

Fanno bene ristoratori, albergatori e associazioni di categoria a esultare per la città sold out, per l’incremento esponenziale di prenotazioni per bed&breakfast e strutture ricettive? Certo che sì, sarebbe ben strano il contrario. Stanno accorrendo in massa addirittura i visitatori americani e giapponesi, dopo che il blocco delle tratte intercontinentali causato dalle limitazioni dovute alla pandemia li aveva tenuti fuori dalla città per due anni. Esultano perché tornano a guadagnare, e tornare a incassare denaro significa – oltre al guadagno personale – consentire di far guadagnare altre persone, cioè lavoratori e lavoratrici che da questi vengono assunti, e il guadagno di queste persone, a loro volta, consente al tessuto produttivo e commerciale di crescere a sua volta. Banalissimi fondamenti di microeconomia. E comunque, più in generale, come scrive Marco D’Eramo nel suo saggio dedicato all’età del turismo, «non bisogna lasciarsi coinvolgere dal gioco crudele e infantile di fare del turismo il facile capro espiatorio di ogni malefatta del moderno».

Allora va bene, bentornati ai turisti e alle turiste, siamo contenti che ci siano. Ma bisogna prendere atto dell’agonia del centro storico. Bisogna avere il coraggio e la coscienza per dire che avvizzisce, che si svuota. Che si riduce a un fondale teatrale che puzza di frittura di pesce decongelato e di trattorie tipiche “dal 1956” nate l’altroieri. Dove fioriscono bancarelle che vendono calamite col Vesuvio made in China e dove non esiste più uno straccio di edicola che venda giornali, perché tutte si sono dovute reinventare di fretta e furia a offrire cartoline e cornicelli rossi. Nel 1827 Giacomo Leopardi scriveva: «Quelli tra gli stranieri che più onorano l’Italia della loro stima, che sono quei che la riguardano come terra classica, non considerano l’Italia presente, cioè noi italiani moderni e viventi, se non come tanti custodi di un museo, di un gabinetto e simili». Così si mostra la città turistica nel suo nucleo forte del centro storico: con i cittadini diventati custodi di un museo. L’amministrazione comunale e il sindaco di Napoli Gaetano Manfredi hanno un compito fondamentale da svolgere. Lo facciano nel migliore dei modi, se è ancora possibile. 

Leggi l'articolo completo su
Il Mattino