Ma Napoli senza aiuti non torna a investire

Ma Napoli senza aiuti non torna a investire
Non bisogna andare troppo lontano per capire che impatto sta avendo (e potrebbe avere ancora a lungo) la drammatica situazione finanziaria del Comune di Napoli. Basta pensare a...

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Non bisogna andare troppo lontano per capire che impatto sta avendo (e potrebbe avere ancora a lungo) la drammatica situazione finanziaria del Comune di Napoli. Basta pensare a quanto è diventato difficile, quasi impossibile, trovare una piccola o media azienda edile o dei servizi disposta a rischiare di essere pagata non prima di tre anni per eseguire un lavoro anche urgente e dunque di interesse collettivo.

Pare che sia capitato anche per la riapertura parziale ma indispensabile della Galleria delle Quattro giornate, altra drammatica strozzatura del traffico cittadino appena riavviata. Ci si gioca il carisma personale, la fiducia, il senso di appartenenza in questi contatti: sentimenti, insomma, non regole contrattuali garantite da un ente nella pienezza delle sue funzioni. Quell’ente, per ora, non c’è. E’ un’anomalia vera e propria che però ha un peso economico e sulla qualità della vita della città tutt’altro che trascurabile e che, come detto, non sembra al momento di facile soluzione.

Napoli rischia seriamente di non poter accedere alle risorse europee perché alla voce co-finanziamento, la quota cioè di finanziamento nazionale che va garantita all’Europa per poter accedere alle risorse assegnate ai progetti, non saprebbe che dire, o meglio che dare. E’ vero che su certe dinamiche l’indebitamento è, paradossalmente, più semplice in virtù dei complicati meccanismi che tendono comunque a salvare le priorità della politica di coesione (e Napoli e il Sud certamente lo sono): ma qui c’è un problema complessivo di affidabilità della macchina che dovrebbe far rispettare tempi, modalità e copertura finanziaria degli interventi previsti ma che in realtà, priva com’è di carburante, non può che limitarsi alla passiva osservazione di ciò che accade, senza incidere e determinare le scelte che impatteranno sul futuro di milioni di cittadini. 

E il guaio è che la serie dei pericoli cui va incontro un Comune spiantato e senza nemmeno alcuna certezza sulla realizzazione del tanto enfatizzato Patto tra i partiti e il governo, è lunghissima. Dalla spesa corrente alla spesa per investimenti, si apre uno scenario preoccupante nel futuro del capoluogo che rende quanto meno improbabile la sua attiva partecipazione alla ripartenza che sta interessando il Paese, e perfino una parte del Mezzogiorno. Come si può pensare in queste condizioni di attrarre capitali privati, magari anche internazionali, per trasformare in cantieri idee e progetti di sviluppo, dagli ecosistemi per l’innovazione a quelli finalizzati al recupero e alla valorizzazione del territorio, per non citare la solita ma sempre più inevitabile Zona economica speciale? Come si fa a trattenere i laureati se non ci sono i soldi per migliorare i servizi e la loro qualità, l’arredo urbano, le opportunità di lavoro in un contesto così penalizzato? 

Si fa decisamente tanta fatica a ipotizzare uno scenario diverso per Napoli, quasi costretta ad un declino che stride in maniera violenta e inaccettabile con le buone intenzioni dell’amministrazione appena eletta. C’è bisogno di un salto di qualità della politica e del governo senza equivoci, tattiche, paure o pregiudizi. Perché riconoscere a Napoli la sua indiscutibile peculiarità sul piano nazionale non è un gesto di solidarietà o, peggio, una disponibilità all’elemosina: è la condizione essenziale, irrinunciabile per mettere in moto le tante opportunità che la città può esprimere se potesse liberarsi dalla strozzatura di debiti e crediti mai esigiti. È l’Italia della ripartenza che impone questo cambio di passo, non un calcolo opportunistico. Ma questa Italia ha anche il dovere di chiedersi se è giusto condannare alle retrovie la realtà urbana e metropolitana che ha più margini di crescita, il maggior numero di piccole imprese innovative, una dimensione universitaria riconosciuta e apprezzata in tutto il mondo: si può continuare a far finta che tutto ciò non esista o non debba contare? 

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Il Mattino