Pari diritti, un passo è compiuto

Pari diritti, un passo è compiuto
Nessuna sorpresa. L’indicazione dopo venti anni dei livelli essenziali delle prestazioni sociali per disabili, anziani non autosufficienti e asili nido non è stata...

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Nessuna sorpresa. L’indicazione dopo venti anni dei livelli essenziali delle prestazioni sociali per disabili, anziani non autosufficienti e asili nido non è stata sottolineata come una innovazione epocale. Nessuna sorpresa, perché l’Italia è un Paese a indignazione selettiva: ci scandalizziamo, giustamente, se a un singolo bimbo è negata la mensa scolastica perché i genitori non pagano la retta; ma c’è il muro del silenzio sul fatto che a migliaia di bambini tutti i giorni sia negato il diritto alla mensa, e quindi il tempo pieno a scuola, con la seguente incredibile motivazione: sono campani, sono calabresi, sono molisani.

La discriminazione per residenza non c’è sempre stata. È una novità introdotta in gran segreto nel 2015 quando, per la prima volta, si sono trasformate alcune statistiche in regole. Cosa vuol dire che la statistica diventa regola? Non è di immediata comprensione ma, una volta afferrato il concetto, fa accapponare la pelle. Del resto l’attuazione del federalismo è una pagina nera della storia della Repubblica, al punto che il 30 aprile 2015 Giancarlo Giorgetti, all’epoca presidente della Bicamerale sul federalismo fiscale, chiese di secretare i dati «come avviene in commissione Antimafia» perché «probabilmente sarebbero scioccanti». 

La statistica è la misura di un fenomeno: sappiamo dalle statistiche che le donne sono pagate meno degli uomini a parità di lavoro, ma non pensiamo sia una cosa giusta. Nessuno accetterebbe una regola in base alla quale le donne vanno pagate meno perché la statistica dice che è così. Però abbiamo scritto e applicato regole in base alle quale il diritto di un bambino all’asilo nido o alla mensa scolastica dipende dal numero di asili o di mense presenti in passato nella statistica del suo comune. Abbiamo accettato, dal 2017, una regola diabolica in base alla quale l’assistenza a un disabile o a un anziano non autosufficiente dipende dalla sua residenza e i diritti vengono letteralmente dimezzati se si è campani, calabresi o molisani mentre sono rafforzati in Emilia Romagna e ciò in base alle statistiche sulla spesa storica per i servizi sociali in quei territori.

Con tali regole-statistiche, abbiamo stabilito che i disabili e gli anziani emiliani hanno “più bisogni” dei disabili e anziani campani e, visto che siamo attenti ai bisognosi, abbiamo indirizzato il fondo di solidarietà comunale in favore dell’Emilia Romagna perché lì le statistiche trasformate in regole certificavano la presenza di più persone da assistere. 

Tutto ciò è accaduto per la colpevole distrazione di dieci governi di ogni forma e colore che si sono succeduti dal 2001 al 2021, nonché dei parlamentari meridionali e dei sindaci delle grandi città che avevano gli strumenti e il dovere di capire come si stava attuando il federalismo fiscale: la mancata approvazione dei Lep - cioè dei «livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale» (come dice la Costituzione) - ha lasciato spazio a regole perverse nate con l’obiettivo di non spostare risorse rispetto alla situazione storica, anche a costo di scrivere formule in base alle quali uno studente di Reggio Emilia ha diritto, con soldi prevenienti dalla solidarietà di tutti gli italiani, alle vacanze estive organizzate dal comune; mentre lo studente di Reggio Calabria non ha diritto né alle vacanze, né al tempo pieno e neppure a un dignitoso sistema di trasporto urbano.

E così soltanto nel 2022, con la manovra di bilancio, per la prima volta vengono definiti alcuni Lep indicando - anche se non sempre - cifre, tempi, risorse. Non c’è dubbio che il percorso sia soltanto all’inizio e sia pieno di trappole. Ma senza i Lep ogni discriminazione è lecita. Sono ancora lì le graduatorie del primo bando del Pnrr, pubblicate ad agosto 2021, che assegnano a Milano (comune svantaggiato!) i 3 milioni di euro che sarebbero dovuti andare a Venafro per costruire una scuola materna. Non è una sfida tra Nord e Sud, tra grandi e piccole città: ben vengano i sostegni al Nord, se e dove ve ne è bisogno. Tuttavia è il senso istintivo di giustizia che trova agghiacciante che i bambini di Venafro debbano restare nei prefabbricati per la colpa di essere residenti in un comune meno ricco di Milano. La presenza dei Lep, invece, fa cadere la logica dei bandi: non si può mettere in gara un comune contro l’altro, come se la scuola dell’infanzia o l’assistenza ai disabili fosse un extra che si può oppure no garantire. Con i Lep la priorità passa alle persone: si devono individuare i luoghi dove i Lep non sono garantiti e orientare lì le risorse, accertandosi che siano spese esclusivamente per l’obiettivo.

Oggi però è il momento di guardare al passo avanti. Di sottolineare la caparbietà di chi non ha mai smesso di credere a questa battaglia, con due nomi per tutti: Michele Conìa, sindaco di Cinquefrondi, Aspromonte, primo in Italia a mobilitare a fine 2018 il Consiglio comunale contro gli zeri al Sud. E Mara Carfagna, ministra del Sud da nove mesi, che si è intestata la battaglia per introdurre i Lep, senza mollare anche quando, come nella prima bozza della manovra, il tema era uscito di scena. Grazie a loro e a tutte le persone che non si sono arrese di fronte al muro del silenzio sulle discriminazioni territoriali, oggi si può salutare un primo passo verso la costruzione di un Paese con pari diritti essenziali di cittadinanza. Diritti indipendenti dal genere, dal colore della pelle, dal reddito, dalla religione e - persino - indipendenti dalla residenza. 

 

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Il Mattino