Salman Rushdie, il potere magico della parola ​che mette paura

Salman Rushdie, il potere magico della parola che mette paura
In fondo Salman Rushdie la sua risposta alla fatwa l’aveva già data nel libro successivo ai condannati «Versi satanici», uno dei suoi più belli,...

OFFERTA SPECIALE

2 ANNI
99,98€
40€
Per 2 anni
SCEGLI ORA
OFFERTA FLASH
ANNUALE
49,99€
19€
Per 1 anno
SCEGLI ORA
 
MENSILE
4,99€
1€ AL MESE
Per 3 mesi
SCEGLI ORA

OFFERTA SPECIALE

OFFERTA SPECIALE
MENSILE
4,99€
1€ AL MESE
Per 3 mesi
SCEGLI ORA
 
ANNUALE
49,99€
11,99€
Per 1 anno
SCEGLI ORA
2 ANNI
99,98€
29€
Per 2 anni
SCEGLI ORA
OFFERTA SPECIALE

Tutto il sito - Mese

6,99€ 1 € al mese x 12 mesi

Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese

oppure
1€ al mese per 3 mesi

Tutto il sito - Anno

79,99€ 9,99 € per 1 anno

Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno

In fondo Salman Rushdie la sua risposta alla fatwa l’aveva già data nel libro successivo ai condannati «Versi satanici», uno dei suoi più belli, intitolato «Harun e il mar delle storie». In questa fiaba surrealista per ragazzini, pubblicata nel 1990, dunque appena un anno dopo la sentenza di morte emanata per blasfemia contro di lui da Khomeini, lo scrittore anglo-indiano immagina un mondo lunare popolato e invisibile alla terra dove un Gran Sacerdote predica l’odio per le storie, la fantasia e i sogni, progetta di inquinare l’Oceano delle storie e in più di tappare la fonte che lo alimenta. Questo sacerdote si chiama Khattam-Shud, una parola hindi che significa «finito». Per dire una semplice cosa: colui che vuole mettere a tacere chi racconta le storie non ha speranza di vittoria. È già finito, appunto. Kaputt. E lo dimostra il finale del libro, dove il giovane protagonista Harun riuscirà a sconfiggere il male dopo una lunga battaglia. 

Anche Rushdie da quel febbraio del 1989, da più di trent’anni cioè, non ha fatto altro che combattere, per sé e per noi, la sua battaglia contro il Principe del Silenzio. L’aggressione scioccante che l’altro giorno lo scrittore ha subito a New York, però, dimostra che la battaglia non è finita, perché le ferite ricevute sono ferite inferte anche alla nostra libertà. E dimostra pure altre due verità. La prima è che quei diritti fondamentali nei quali si riconosce il nostro Occidente, dall’Illuminismo francese e dalla Dichiarazione d’Indipendenza americana a oggi, non devono essere mai dati per scontati, poiché restano a rischio sempre, in ogni momento, anche nel cuore della democrazia. E che dunque non bisogna mai smettere di vigilare.

La seconda verità è che la fatwa contro Rushdie, rinnovata dall’attuale guida suprema dell’Iran Ali Khamenei nel 2019 via Twitter, non fa che affermare la forza della parola scritta. Ed è paradossale che proprio nell’era della postletteratura il nemico da sconfiggere resti la scrittura. Significativa, in questo senso, la dichiarazione che ha rilasciato un diciannovenne testimone dell’aggressione, che non ha mai letto un libro di Rushdie: «Sapevo che era stato minacciato di morte - ha detto - e volevo capire perché qualcuno voglia uccidere uno scrittore per ciò che scrive». Giusto: perché qualcuno vuole uccidere uno scrittore per ciò che scrive? È una domanda, legittima, spontanea per un giovane di oggi, a cui bisogna pur dare una risposta. 

Mi sfila davanti un elenco di nomi di scrittori e giornalisti che sono stati uccisi o minacciati di morte per ciò che hanno scritto. Inutile riportarlo qui, sarebbe troppo lungo. Fanatismo religioso, mafia, polizia segreta: in quanti modi sono stati messi a tacere? E perché? Non potendo condannare a morte Miguel de Cervantes, il regime cileno di Pinochet censurò la pubblicazione del «Don Chisciotte». E per lo stesso motivo il racconto «La metamorfosi» di Kafka fu proibito sotto il regime nazista, quello sovietico e in Cecoslovacchia. In effetti, non c’è niente di più temibile per il potere - di qualunque genere esso sia - della parola scritta. 
Gli antichi Egizi attribuivano alla scrittura un potere magico, sacro: ciascuna immagine tracciata del geroglifico era considerata viva, al punto che quando rappresentavano la figura di una belva feroce o di un uomo armato si preoccupavano di mutilarne una zampa o spuntarne un’arma, per evitare che potessero balzare fuori dalla pergamena e ferire il lettore.

È proprio questa fiducia nella magia della parola scritta, nella sua capacità di sporgersi oltre la pagina per travasarsi direttamente nella vita e dunque cambiarla, ciò che più di tutto teme il Principe del Silenzio. Le storie ci aiutano a conoscere le parole, e tutti i mondi che esse evocano, e più parole si conoscono più mondi si posseggono. Ecco perché Khattam-Shud vuole il silenzio e combatte contro la parola. Ed ecco perché, al contrario, Salman Rushdie non ha mai smesso di scrivere i suoi libri, e noi gli auguriamo possa continuare a farlo ancora il più a lungo possibile. Per continuare ad affermare la varietà e la complessità dei mondi e la ricchezza e il potere della lingua scritta: contro ogni fanatismo, ogni dogmatismo, ogni censura, ogni autoritarismo. 
 

 

Leggi l'articolo completo su
Il Mattino