C’è del fascino nell’idea di vedere il profilo di Luigi Vanvitelli nel varco d’ispezione del cosiddetto Torrione della via d’acqua che alimenta le...
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A chi scrive anni fa fu inviata la foto di una mediocre copia dal famoso autoritratto di Raffaello Sanzio agli Uffizi. In questo dipinto il proprietario era certo di vedere la firma del sommo Urbinate nell’iride dell’occhio destro. Succede questo e altro, dedicandosi a certe ricerche con un certo tipo di approccio.
Sappiamo dall’immenso lavoro di collazione di Franco Strazzullo che Luigi Vanvitelli ha scritto per anni al fratello Urbano una, e alle volte più lettere al giorno per ragguagliarlo meticolosamente sui progressi dei lavori a Caserta, e mai ha fatto cenno a quello che sarebbe stato un ben strano modo di autoeffigiarsi. Uomo di profonda religiosità ma carattere pragmatico e attento alle dinamiche del potere, risulta difficile vederlo ricorrere al trucchetto di una silhouette in un luogo relativamente remoto della Reggia per farsi ricordare come padre del suo progetto. Anche perché non stiamo parlando di un genio sconosciuto o incompreso: la sua fama era già europea prima di venire reclutato da Carlo di Borbone, e anche a Napoli suoi ritratti da vivo furono eseguiti da pittori di grido come Giacinto Diano, il quale ci ha lasciato quello molto intenso e ben condotto che è proprio nel Museo della Reggia. Tutti sapevano chi avesse progettato il più bel palazzo reale del Settecento in Europa: la famosa serie di stampe con la Dichiarazione dei disegni della Reggia e del suo contesto (1756) non fu solo una leva della propaganda borbonica, ma consacrò il suo progettista tra le archistar del suo tempo.
Dunque la prima obiezione è: che bisogno c’era di ricorrere a un espediente così astruso per affermare una realtà lapalissiana? Poi, a dirla tutta, chiunque nel Settecento portava parrucca, codino e fiocco, e non si vede tutta questa somiglianza con simili accessori nel buco visto in controluce. Men che mai nel cosiddetto autoritratto (di spalle, non di profilo!) nella cerimonia della posa della prima pietra della Reggia, o nella statua di Onofrio Buccini nel giardino di Piazza Vanvitelli a Caserta, che è ottocentesca e alquanto fantasiosa. Così come improprio è il richiamo all’effigie dipinta da Gennaro Maldarelli in un soffitto della Reggia, eseguita quando Vanvitelli era morto all’incirca da mezzo secolo.
Ma poi, dopo aver detto che altri mille argomenti ci costringono a relegare la «scoperta» della silhouette di Vanvitelli nel regno della fantasia, perché opporsi alla sua divulgazione? Magari attirerà qualche curioso in più, e forse porterà alla scelta di rendere visitabile uno dei più straordinari scorci panoramici del mondo. In fondo Vanvitelli è davvero ancora lì con il suo genio, la sua immensa abilità tecnica e la sua opera più sublime. Anche senza il bisogno ritrovarlo in un improbabile profilo. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino