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L’amore per gli animali è anche il diritto dei loro padroni di piangerli quando non ci sono più. Con un congedo dal lavoro pagato. Potrebbe accadere presto in Colombia, dove il deputato del Partito liberale Alejandro Carlos Chacon, 48 anni, ha presentato un disegno di legge in base al quale i datori di lavoro sono obbligati a concedere al dipendente che ne faccia richiesta due giorni di ferie retribuite dopo la morte dell’animale. La nuova normativa mira a riconoscere il «legame affettivo tra gli esseri umani e i loro animali domestici, la cui morte può avere un considerevole impatto emotivo sui loro padroni», spiega il politico a El Tiempo.
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Il legame sentimentale
«Alcune persone non hanno figli, ma hanno un animale domestico molto amato con cui sviluppano un legame profondo e fraterno», riflette Chacon. Aggiungendo che il congedo retribuito aiuterebbe le persone a «superare il dolore per la perdita dei loro amati animali senza essere preoccupati per il lavoro». Secondo Chacon il disegno di legge cambierà la vita alla maggior parte dei colombiani, poiché sei famiglie su dieci hanno un animale domestico. La proposta non specifica quali animali siano considerati casalinghi, tuttavia El Tiempo riferisce che la legge proposta definisce animale domestico quello con cui «il proprietario ha un forte legame sentimentale». E puntualizza che i giorni di ferie retribuiti non si applicano in caso di morte di fauna selvatica o di animali esotici. Il documento prevede inoltre che un dipendente possa accedere al congedo retribuito solo informando preventivamente il datore di lavoro e fornendo le prove del decesso. Il timore è che qualcuno se ne approfitti, adducendo alla finta morte del cane di casa per due giorni di vacanza gratis, ma il disegno di legge mira a scoraggiare le truffe obbligando a produrre la documentazione veterinaria e punendo i colpevoli con multe.
La situazione in Italia
Il Senato e la Camera dei rappresentanti colombiana è pronta ad affrontare il dibattito, che avrà tempi lunghi.
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La donna viveva da sola, era l’unica che poteva occuparsi di lui e l’intervento era ritenuto necessario dal veterinario. Dopo il primo rifiuto da parte del datore di lavoro di concedere il permesso, la donna si è rivolta alla Lega antivivisezione per avere assistenza legale, ottenendo il permesso retribuito. Secondo la Lav, infatti, se l’animale non riceve le giuste cure è persino configurabile il reato di abbandono. Il principio affermato dalla Cassazione, però, non è una rete a maglie larghe e il diritto al permesso di lavoro retribuito può essere riconosciuto in particolari circostanze. Spetta solo se il lavoratore vive da solo e non ha possibilità di delegare l’assistenza ad altri. Deve inoltre essere in possesso di un certificato veterinario che attesti la malattia dell’animale, dimostrare la necessità di prestare cure veterinarie o accertamenti indifferibili all’animale, non avere alternative per il trasporto o non poter fornire diversamente la necessaria assistenza.
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