Autonomia, tra Stefani e De Luca è battaglia di numeri

Autonomia, tra Stefani e De Luca è battaglia di numeri
L'appuntamento è alle 12 a Roma. «Da oggi sono quattro le Regioni al tavolo con il governo e non più tre soltanto», ripete come un mantra il...

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L'appuntamento è alle 12 a Roma. «Da oggi sono quattro le Regioni al tavolo con il governo e non più tre soltanto», ripete come un mantra il presidente della Campania Vincenzo De Luca. L'incontro è con il ministro degli Affari regionali e le autonomie Erika Stefani, la quale continua a ostentare ottimismo sulla soluzione del rebus dell'autonomia.


Ma l'incontro non sarà facile perché le posizioni sono, al momento, distanti. La Campania, certo, siede al tavolo per presentare la sua richiesta di autonomia differenziata su tredici materie. Ma in realtà l'obiettivo è tutto politico: aprire un'operazione verità sui conti pubblici, a 360 gradi, considerando trasferimenti statali sui territori, investimenti infrastrutturali, costi storici e medie procapite per ciascun comparto di spesa, a partire dalla Sanità.
 
Lo scontro Stefani-De Luca, quindi, partirà dai numeri. Il ministro ha pubblicato sul sito del suo dicastero una tabella che rappresenta il «Bilancio dello Stato per la spesa per abitante in ogni singola regione». In testa per euro procapite ci sono i territori autonomi di Bolzano, Aosta e Trento, mentre in coda le regioni Emilia Romagna, Veneto e Lombardia, guarda caso quelle in prima fila per la richiesta di autonomia differenziata. Il messaggio che vuole dare la Stefani è chiaro: ci sono territori dove oggi lo Stato spende poco e quindi è giusto arrivare al «valore medio nazionale procapite», come prevedono gli accordi già firmati con le tre Regioni, con un automatismo che scatta nel 2022 ma che mette a rischio la tenuta dei conti pubblici. La Stefani sarà chiamata a chiarire le sue scelte - sempre domani, ma alle 15 - in Senato, dove risponderà a un'interrogazione di Vincenzo Presutto, esponente dei Cinquestelle e vicepresidente della Bicamerale federalismo fiscale.

I conti della Stefani sono corretti? La fonte, certo, è ufficiale: la Ragioneria generale dello Stato. Solo che la Ragioneria ha «regionalizzato» appena 268 miliardi di spesa pubblica, cioè 3.877 euro procapite, mentre la spesa pubblica in tutte le sua articolazioni supera i 900 miliardi. Secondo i Conti pubblici territoriali sono 967 miliardi, considerando il «settore pubblico allargato», ovvero tutte le categorie dei sistema pubblico comprese le aziende nazionali o a controllo locale (come Ferrovie o Eav, per fare degli esempi). Ebbene: il procapite secondo per la banca dati dei Conti pubblici territoriali è decisamente più elevato, a 13.960 euro. Quel che più conta ai fini del confronto, però, è la classifica. Nella fascia alta (cioè dove le spese procapite sono molto sopra la media nazionale) ci sono in entrambe le banche dati i medesimi territori: Aosta, Trento, Bolzano più il Lazio, dove pesa il ruolo di Roma capitale. In coda la situazione cambia fortemente, perché per i Conti pubblici territoriali il territorio dove lo Stato spende meno per abitante non è la Lombardia bensì la Campania, con 10.832 euro, mentre il terzetto di coda comprende Puglia e Calabria.

Le due tabelle - entrambe legittime; ma indubbiamente quella dei Conti pubblici territoriali è più completa - portano a due letture dell'Italia. Chi guarda la Ragioneria dello Stato vede Lombardia e Veneto trascurate dallo Stato; tuttavia, visto che i due territori sono con tutta evidenza tra i più ricchi d'Europa, per rendere plausibile il miracolo di aree ricche sebbene snobbate dal sistema pubblico ci si deve aggrappare alla teoria della straordinaria virtuosità delle classi dirigenti locali, capaci di trasformare i pochi soldi ricevuti in servizi di eccellente qualità.

Chi invece scorre i dati dei Conti pubblici territoriali trova una spiegazione limpida, fin troppo semplice, della diversa qualità di servizi lungo la penisola: lo Stato crede vistosamente meno nel Mezzogiorno e le classi dirigenti meridionali non possono che adeguarsi a tale livello.

De Luca, però, conosce bene il rischio di appiattirsi su quest'ultima spiegazione, perché si cadrebbe nell'errore di giustificare i casi di cattiva amministrazione del Sud. Che ci sono, come del resto è innegabile che al Nord ci sia chi è venuto meno al proprio dovere di amministratore pubblico: si pensi alle condanne definitive che hanno colpito gli ex governatori di Lombardia e Veneto Roberto Formigoni e Giancarlo Galan. Ecco perché oggi De Luca chiederà sì parità di condizioni per tutti i cittadini italiani, sì livelli di prestazione uguali per tutti ma anche «premialità e penalità per tutti quegli amministratori che dimostrano di non essere in grado di governare in maniera corretta».


Resteranno sullo sfondo, invece, le materie sulle quali la Campania si propone di esercitare maggiore autonomia. Eccole: tutela e sicurezza lavoro; istruzione tecnica e professionale; internazionalizzazione imprese e commercio con l'estero; ricerca e innovazione; governo del territorio; ambiente; infrastrutture e lavori pubblici; tutela salute; agricoltura, fauna e acquacoltura; beni culturali, spettacolo e sport; giustizia di pace; partecipazione a formazione e attuazione diritto Ue; coordinamento finanza pubblica e tributi. Non c'è, e non è un caso, la scuola. È lì infatti che si giocherà la battaglia principale dello Spacca-Italia. L'idea di Veneto e Lombardia, infatti, è far scattare nel 2022 l'aumento automatico delle risorse in base all'allineamento alla media procapite nazionale, con un guadagno secco di un miliardo e mezzo di euro. Ma le attuali differenza di spesa (477 euro procapite in Veneto e 459 in Lombardia a fronte di 581 in Puglia, 636 in Campania e 685 in Calabria) non sono dovute a chissà quale divario di efficienza bensì a un fenomeno ben noto. Gli 822 mila insegnanti della scuola statale, infatti, hanno un'età media superiore al Sud, con il picco in Calabria e in Basilicata, perché tantissimi aspiranti docenti meridionali vincono il concorso e prendono servizio al Nord, per poi ottenere nel tempo l'avvicinamento verso i territori di origine. A costi più alti, vista la progressione di carriera che per il corpo docente è legata agli scatti d'anzianità. Se invece della spesa - che ha dinamiche indipendenti dalle volontà dei territori - si guarda al rapporto tra insegnanti e alunni, tali forti differenze si riducono a poca cosa. Nel sistema scolastico italiano ogni insegnante ha in media 9,34 alunni con Calabria a 8,54; Campania in linea a 9,40; Puglia a 9,74; Veneto a 9,77 e Lombardia a 9,92. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino