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Nella guerriglia urbana di “Athena”, l’immaginaria banlieue di Parigi del film di Romain Gavras presentato a Venezia, c’è tutto il mondo delle gang giovanili: la rabbia di chi cresce ai margini in palazzi di venti piani, chi traffica droga, i trapper con la pistola come punto di riferimento sociale. «Noi non siamo in questa situazione, né ci sono le condizioni per arrivarci. Ma attenzione, potremmo trovarci di fronte a gruppi isolati che potrebbero replicare situazioni simili», riflette Marco Dugato, ricercatore di Transcrime.
Creare una mappa nazionale delle gang giovanili, conoscere le loro dinamiche, approfondire i contatti e le ramificazioni è il primo passo per arginare un fenomeno in crescita. Secondo i dati dell’Osservatorio nazionale sull’adolescenza il 6,5% dei minorenni fa parte di una banda, il 16% ha commesso atti vandalici, tre ragazzi su dieci hanno partecipato a una rissa. Il rapporto realizzato da Transcrime - centro di ricerca interuniversitario degli atenei della Cattolica, di Bologna e Perugia - dal Dipartimento della pubblica sicurezza e dal Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità, è la prima classificazione sistematica delle baby gang sul territorio. Con un elemento che si impone: «Ciò che ha segnato una differenza e un’evoluzione nell’ultimo decennio è il carattere di crescente efferatezza, violenza gratuita e apparente insensatezza di alcune condotte, riconducibili spesso a uno, due ragazzi o a gruppi agglomerati in maniera fortuita», spiega Gemma Tuccillo, capo dipartimento per la giustizia minorile. Dall’ultima analisi della Direzione centrale della polizia criminale, il numero di minori arrestati o denunciati è aumentato del 10% (circa 25.000 nel 2021), i reati di lesioni personali, danneggiamento, minacce, omicidio doloso, rapina, resistenza e violenza a pubblico ufficiale sono saliti del 20%.
Metà delle gang è composta in prevalenza da italiani e meno di una su tre ha una maggioranza di stranieri, indica la ricerca. I membri sono soprattutto minorenni, hanno generalmente una età compresa tra i 15 e i 17 anni, in un quarto dei casi l’età prevalente è tra i 18 e i 24 anni. La struttura è fluida, «la gran parte di questi gruppi è formata da un numero inferiore a dieci ragazzi e chi si trova in una situazione di disagio socioeconomico è meno della metà. Influente è anche l’uso dei social network come strumento per rafforzare le identità e generare processi di emulazione o autoassolvimento». Alcune formazioni compiono il salto di qualità e vengono arruolate dalle organizzazioni criminali, è il caso del “Clan Sibillo” a Napoli e della “Banda della Magliana” nel vibonese, altre si ispirano alle pandillas sudamericane, alle gang statunitensi, alle confraternite nigeriane o gruppi parigini. È il caso di “Barrio Banlieue” a Milano, che ha reclutato adepti tra gli stranieri di prima o seconda generazione. «La ricerca d’identità, l’importanza di appartenere a un gruppo, il senso d’onnipotenza tipico della giovane età, la vita che si sviluppa soprattutto sui social, le restrizioni causate da lockdown e pandemia sono soltanto alcune delle cause del fenomeno», sottolinea il prefetto Vittorio Rizzi, vice direttore generale della Pubblica sicurezza. «Scontri tra gruppi di giovani più o meno organizzati, atti di violenza e teppismo che spesso hanno come vittime altri minori bullizzati, che faticano a denunciare. Il nostro compito è quello di intercettare il disagio sul nascere, intervenire per evitare un’escalation della violenza e, soprattutto, perché le vittime abbiano fiducia nelle forze di polizia e chiedano subito aiuto».
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