Chi non vorrebbe un seno da pin-up per sentire realizzata appieno la propria femminilità? Si chiama mastoplastica additiva l’intervento di chirurgia estetica oggi...
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In genere si rivolgono al chirurgo plastico per questo genere d’intervento giovani donne che in seguito ad uno sviluppo modesto della mammella si presentano con un seno sproporzionatamente piccolo o che hanno subito una riduzione del volume mammario dopo una gravidanza o una drastica perdita di peso. «In questi ultimi due casi talvolta si associa un abbassamento del seno che nelle forme più marcate richiede un intervento aggiuntivo di mastopessi (spostamento verso l'alto del complesso areola capezzolo)», aggiunge lo specialista. Per chi vuole aumentare il volume del proprio seno con un risultato più deciso e immediato l’aumento del seno con protesi è l’alternativa più sicura. Le tecniche moderne si basano sul rispetto della funzionalità della mammella, permettendo al tempo stesso ampie riduzioni di rischi per la salute, cicatrici nascoste e risultati stabili e duraturi nel tempo. «Una novità in questo campo è data da una particolare tecnica che applico sulle mie pazienti con risultati molto soddisfacenti sia dal punto di vista estetico che funzionale - spiega D’Andrea - che prevede l’impianto della protesi sottofasciale. In pratica andiamo a creare una tasca anatomica che è un giusto compromesso tra sottomuscolo e sottoghiandola con il vantaggio di eliminare l’effetto gradino, diminuire il dolore e ridurre i tempi della convalescenza. Infatti è possibile tornare a una vita attiva dopo sole 48 ore dall’intervento. Inoltre - prosegue - il posizionamento sottofascia ci dà la certezza di lasciare tutto il tessuto mammario al di sopra della protesi, che non va quindi a contrastare eventuali esami diagnostici come screening o mammografie».
Fondamentale affidarsi a un chirurgo plastico serio e specializzato dunque, con il quale valutare il tipo di intervento idoneo da effettuare ed eventuali complicanze: «Diffidate da chi vi illustra solo i risultati positivi e soprattutto diffidate dal “low cost”.
Il Mattino