Cibo a domicilio, la svolta. Il pm ascolta mille rider: «Pochi euro, zero tutele»

Cibo a domicilio, la svolta. Il pm ascolta mille rider: «Pochi euro, zero tutele»
Oltre mille rider ascoltati in tutta Italia, una cinquantina solo a Napoli, nel corso di un'inchiesta che punta a fare chiarezza sull'altra faccia del cibo consegnato a...

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Oltre mille rider ascoltati in tutta Italia, una cinquantina solo a Napoli, nel corso di un'inchiesta che punta a fare chiarezza sull'altra faccia del cibo consegnato a casa: quella di chi rischia la vita tutti i giorni, pur di racimolare una manciata di euro. Sono almeno un migliaio i lavoratori autonomi, al servizio - a mo' di free lance - per le più importanti piattaforme di consegna di cibo a domicilio attive in Italia. Hanno raccontato la loro vita, hanno risposto a domande finalizzate a conoscere un sistema attraverso il quale è stata irregimentata manodopera a basso costo. A Napoli come a Milano, le loro voci si sovrappongono: quasi tutti hanno spiegato di percepire pochi euro per ogni consegna, di essere proprietari dei veicoli in sella ai quali schizzano da un lato all'altro della città, di usare mascherine e altri sistemi di protezione antivirus, solo grazie a un investimento privato. Tradotto: solo in pochi casi, qualcuno si è preoccupato di investire nell'acquisto di guanti e mascherine da fornire ai rider, sebbene i cavalieri del food a domicilio abbiano consentito di rimettere in moto l'economia italiana nelle settimane della cosiddetta fase due.


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LE VERIFICHE
Tecnicamente si tratta di sit, di sommarie informazioni nel corso di una inchiesta su scala nazionale condotta dalla Procura di Milano. C'è una delega ampia che è stata firmata dai pm meneghini per i carabinieri del comando Tutela lavoro, che stanno conducendo verifiche in stretta sinergia con i comandi provinciali dell'Arma su tutto il territorio nazionale. Indagine sul cosiddetto «food delivery», che sta per consegna del cibo, un fenomeno che ha cambiato il rapporto tra esercizi commerciali e clientela, proprio grazie al lavoro dei rider. In sintesi, tutto passa attraverso la compilazione di una sorta di modulo, nel quale il singolo lavoratore si mette a disposizione di una determinata piattaforma di consegna. Basta indicare la propria disponibilità di tempo e la zona che si intende rifornire e assumersi una serie di responsabilità, come se si trattasse di un lavoratore autonomo: mezzi di trasporto personali, investimento sul carburante sempre a spese del lavoratore, scarse garanzie in termini di sicurezza e sotto il profilo previdenziale. Venti o trenta euro al giorno l'incasso di una serata di punta. Facile capire la strategia investigativa, in uno scenario in cui si potrebbero ipotizzare una serie di reati: si va da ipotesi di sfruttamento della manodopera lavorativa (una sorta di caporalato), per arrivare alla intermediazione illecita, in un regime fiscale che non è sempre molto chiaro. In alcuni casi, infatti, i colossi del delivery non hanno una sede in Italia, pur riuscendo però a macinare affari nel nostro paese.


Un'attività, quella dei carabinieri del comando Tutela del Lavoro, che è stata seguita dal ministro del Lavoro e delle politiche sociali Nunzia Catalfo, nel tentativo di disciplinare un'attività che alimenta - in linea teorica - un volume d'affari milionario. Una vicenda che va seguita anche alla luce di un precedente, quello legato alla decisione del Tribunale misure di prevenzione di «commissariare» Uber Italy, per un'ipotesi di caporalato. Ma cosa hanno risposto in linea generale i rider italiani? E cosa è emerso da un contesto complesso come quello napoletano (a proposito di mondo del lavoro)? Lavorano tutti da pochi mesi, sono rari i casi di rider in servizio da più di un anno; sono mediamente giovani, ma non sempre, dal momento che proprio nei mesi della crisi sanitaria, sono stati usati anche lavoratori che hanno superato gli anta; sono per lo più maschi, ma nelle ultime settimane sono comparse sulla scena anche molte donne. Altro aspetto tipico di questo mestiere è l'assoluta spersonalizzazione dei rapporti: «Ho solo compilato un modulo e ho fornito il mio conto corrente, non ho mai parlato fisicamente con qualcuno, tutto avviene su una piattaforma on line», hanno risposto gli eroi della pizza a domicilio in pochi minuti. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino