Ciro Grillo, una chiamata svelò l'esistenza dei video: «Dai, mandami quei filmati»

Ciro Grillo, una chiamata svelò l'esistenza dei video: «Dai, mandami quei filmati»
Ancora indagini su Ciro Grillo e altri tre ragazzi, accusati di violenza sessuale nei confronti di una giovane nel luglio 2019 a Porto Cervo, in Costa Smeralda. Secondo la...

OFFERTA SPECIALE

2 ANNI
99,98€
40€
Per 2 anni
SCEGLI ORA
OFFERTA FLASH
ANNUALE
49,99€
19€
Per 1 anno
SCEGLI ORA
 
MENSILE
4,99€
1€ AL MESE
Per 3 mesi
SCEGLI ORA

OFFERTA SPECIALE

OFFERTA SPECIALE
MENSILE
4,99€
1€ AL MESE
Per 3 mesi
SCEGLI ORA
 
ANNUALE
49,99€
11,99€
Per 1 anno
SCEGLI ORA
2 ANNI
99,98€
29€
Per 2 anni
SCEGLI ORA
OFFERTA SPECIALE

Tutto il sito - Mese

6,99€ 1 € al mese x 12 mesi

Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese

oppure
1€ al mese per 3 mesi

Tutto il sito - Anno

79,99€ 9,99 € per 1 anno

Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno

Ancora indagini su Ciro Grillo e altri tre ragazzi, accusati di violenza sessuale nei confronti di una giovane nel luglio 2019 a Porto Cervo, in Costa Smeralda. Secondo la versione fornita dagli accusati ai magistrati, contenuta nel verbale, la proposta di fare sesso di gruppo sarebbe partita dalla ragazza «come un gioco», per poi degenerare in qualcos’altro.

Nel frattempo, sono emerse alcune intercettazioni riportate dal Corriere della Sera e Repubblica risalenti al 9 agosto 2019, pochi giorni dopo le presunte violenze. Gli interlocutori della telefonata sono uno dei quattro indagati e un amico: per la prima volta si fa riferimento ai video girati la notte tra il 16 e il 17 luglio, che sono finiti al centro dell’indagine. L’amico chiede all’indagato di poter vedere i video: «Dai, mandameli».

Una richiesta a cui l’indagato non cede: «No, non li mando a nessuno». E l’amico insiste: «Dai, sono l’unico che non li ha visti!». E l’altro: «Non posso. Poi ti racconto quando vengo».

Ciro Grillo, verso nuovo interrogatorio per figlio Beppe e amici accusati di violenza sessuale

Ciro Grillo, i verbali della ragazza: «Mi hanno costretta a 7 rapporti, mi chiamavano "cagna"»

Una breve conversazione che fa capire due cose ai carabinieri: la prima è che esistono dei video, conservati sugli smartphone degli indagati (che all’epoca non sapevano di essere stati intercettati), che potrebbero quindi rappresentare una prova del reato. La seconda è che quei video, stando alle parole dell’amico, sarebbero stati mostrati in giro: «Sono l’unico che non li ha visti». Ma stando a quanto sarebbe stato accertato finora, i video non sono stati condivisi ma soltanto mostrati dagli stessi telefoni da cui erano stati ripresi; un dettaglio che proteggerebbe gli indagati dal reato di revenge porn, punito dalla legge che proprio nell’agosto 2019 venne approvata.

 

Leggi l'articolo completo su
Il Mattino