La Cina è in affanno e fa i conti con il mondo: «Non ci avete detto tutto»

La Cina è in affanno e fa i conti con il mondo: «Non ci avete detto tutto»
In oltre 70 anni di storia la Repubblica Popolare non aveva mai dovuto affrontare le conseguenze di una crisi tanto grave come quella generata dal nuovo coronavirus. Pechino si...

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In oltre 70 anni di storia la Repubblica Popolare non aveva mai dovuto affrontare le conseguenze di una crisi tanto grave come quella generata dal nuovo coronavirus. Pechino si trova a muoversi in un contesto internazionale cambiato e diventato molto più ostile. Deve fare i conti con l'ulteriore deterioramento delle relazioni con Washington ed è chiamata a confrontarsi con una serie di sfide ancora aperte, tra cui la realizzazione del mega progetto delle Vie della Seta.


Uno studio del Stanford China Program pubblicato da The Diplomat ha fornito una fotografia dell'ex Celeste Impero alle prese con la ripartenza post-Covid. Da un lato, c'è il dato, preponderante, che riferisce di un calo pari al 6,8 per cento del Pil nel primo trimestre dell'anno. Una contrazione mai sperimentata negli ultimi 40 anni. Tuttavia, il tasso di disoccupazione risulterebbe quasi invariato, essendo passato dal 5,3 per cento di gennaio 2020 al 6 per cento di inizio giugno. Questo dato non tiene però in considerazione i 170 milioni di lavoratori rurali né i lavoratori in nero, sui quali si stima che gli effetti della pandemia siano stati pesanti. Confortante, per Pechino, l'aumento delle esportazioni, che sarebbero cresciute del 3,5 per cento ad aprile 2020. L'80% delle 135 aziende considerate ha registrato serie ricadute, come il calo della domanda, ed è stata costretta a ridurre la forza lavoro. C'è stata una certa disparità tra le aziende high-tech e quelle online rispetto alle industrie. Le prime hanno mostrato una capacità di ripresa maggiore sulle altre, pari quasi al doppio.
 
Sul piano internazionale la Cina è in difficoltà. Quando l'Europa in primavera si trovava ad affrontare le fasi iniziali della crisi sanitaria, Pechino non ha perso tempo, mettendo in moto tutti gli ingranaggi della diplomazia e della propaganda. La Repubblica Popolare attraverso gli aiuti donati dati all'Italia aveva provato a deviare l'attenzione dalle responsabilità della diffusione del virus a livello globale. In primo luogo, la mancanza di trasparenza mostrata nelle prime fasi dell'epidemia. Ma l'ormai famosa «diplomazia delle mascherine», come è stata ribattezzata la politica di aiuti messa in campo da Pechino, si è rivelata un boomerang. Così, è aumentato il risentimento verso la Cina e il suo presidente, Xi Jinping, in Asia ma anche altrove. A maggio il passo decisivo nella guerra per il primato tecnologico che si contendono Usa e Cina, ovvero il colpo, durissimo, assestato dagli Stati Uniti a Huawei, con il governo di Washington che aveva deciso di vietare ai fornitori che sfruttano la tecnologia americana di vendere semiconduttori all'azienda di Shenzhen. Di conseguenza, è arrivato il no di Londra e l'esclusione di Huawei dalla lista di fornitori di tecnologie per la nuova rete 5g. Non ha aiutato l'imposizione della contestata legge sulla sicurezza nazionale a Hong Kong, una risposta alla nuova ondata di proteste pro democrazia del 2019, da cui è derivata la disponibilità di Londra ad aprire ai cittadini in fuga dall'ex possedimento britannico. In crisi i rapporti con Ottawa, che ha autorizzato l'estradizione negli Usa di Meng Wanzhou, direttrice finanziaria di Huawei.


In quest'ottica, si capisce la rilevanza della missione diplomatica del ministro degli Esteri Wang Yi in Europa tra fine agosto e inizio settembre, un tentativo di non perdere terreno rispetto agli statunitensi nel confronto senza esclusione di colpi tra le due maggiori economie del mondo nel continente tanto importante per i progetti della Nuova Via delle Seta. Lo scopo della missione: contenere l'espansione del fronte transatlantico anticinese in particolare sul 5g. E proprio i leader europei avrebbero voluto dal presidente Xi un impegno maggiore in termini di accesso al mercato e parità di trattamento per le aziende europee in Cina nel summit bilaterale del 14 settembre scorso. Ora, a differenza del passato, l'Europa ha mostrato di essere molto più esigente in termini di rispetto dei diritti umani. Un argomento, questo, che prima veniva discusso solo a porte chiuse.  Leggi l'articolo completo su
Il Mattino