Il 13 marzo, quando l'epidemia del coronavirus ha cominciato a trasformarsi in tragedia, il 60 per cento dei pazienti infetti era ricoverato in ospedale. Oggi la situazione...
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Spiega il professor Francesco Le Foche, responsabile del Day Hospital di immunoinfettivologia de Policlinico Umberto I di Roma: «La terapia deve essere iniziata a casa, questa è una malattia infiammatoria e come tale va trattata. All'inizio il numero enorme di persone che avevano bisogna di terapia intensiva, è stato frutto del fatto che tanti pazienti erano rimasti molti giorni sì a casa, ma senza terapia. Sono arrivati così contestualmente tutti in pronto soccorso, con patologie importanti, e questo ha stressato il servizio sanitario, anche dove ci sono eccellenze come in Lombardia. A pagare di più sono state le strutture monoblocco, in cui non si potevano dividere i pazienti; noi come Policlinico, con differenti padiglioni, abbiamo potuto con più facilità allestire percorsi separati». Oggi la forza dell'onda è diminuita, i medici possono curare e seguire più tempestivamente i pazienti a casa. «E sono state affinate le terapie, il trattamento domiciliare e l'attenzione al territorio. Poi, certo, è anche vero che facendo più tamponi, si individuano anche più pauci sintomatici o asintomatici». Ma ha anche funzionato il distanziamento sociale, perché ha favorito la decompressione negli ospedali. Quali terapie domiciliari stanno riducendo il numero di casi gravi? Il professor Le Foche spiega: «Sicuramente l'idrossiclorochina di fosfato associata all'azitromicina, una terapia corticosteirodea blanda ed eventuale terapia con eparine: bloccano la parte dell'infiammazione più importante».
Dei casi attualmente positivi, solo il 2,3 per cento è in terapia intensiva; dunque, una percentuale molto bassa - almeno stando ai dati ufficiali - è in condizioni gravi. Ma si può ipotizzare che ci sia un indebolimento del virus? Serve molta prudenza, perché in questa fase è prioritario mantenere le misure di distanziamento sociale. «Io credo in realtà che proprio queste misure comportino una riduzione dell'entropia sociale: così il virus si indebolisce, perché non ha l'opportunità di passare da persona a persona. Se ci sarà una seconda ondata in autunno, sarà meno forte». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino