Coronavirus, nuovi farmaci e cure a casa: la grande frenata di ricoveri. Solo 1 paziente su 4 in ospedale

Coronavirus, nuovi farmaci e cure a casa: la grande frenata di ricoveri. Solo 1 paziente su 4 in ospedale
di Mauro Evangelisti
Mercoledì 22 Aprile 2020, 07:21 - Ultimo agg. 12:01
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Il 13 marzo, quando l'epidemia del coronavirus ha cominciato a trasformarsi in tragedia, il 60 per cento dei pazienti infetti era ricoverato in ospedale. Oggi la situazione è mutata drasticamente: appena il 25 per cento è in ospedale, in pratica 3 pazienti su 4 sono in condizioni tali da potere essere curati a casa, in isolamento. Cosa è successo? Il virus si sta indebolendo? Abbiamo capito quali sono le terapie giuste? Il discorso è più complesso: prima di tutto, nel pieno dell'uragano si facevano i tamponi solo a coloro che avevano sintomi gravi; oggi si stanno raggiungendo anche i poco sintomatici; non a caso la percentuale dei tamponi positivi rispetto al 25 per cento di un mese fa oggi è scesa al 5. Però è anche vero che abbiamo capito che i pazienti vanno, per quanto possibile, tenuti lontano dagli ospedali, ma con terapie che devono cominciare subito se si vogliono evitare improvvisi peggioramenti. 
 

 

Spiega il professor Francesco Le Foche, responsabile del Day Hospital di immunoinfettivologia de Policlinico Umberto I di Roma: «La terapia deve essere iniziata a casa, questa è una malattia infiammatoria e come tale va trattata. All'inizio il numero enorme di persone che avevano bisogna di terapia intensiva, è stato frutto del fatto che tanti pazienti erano rimasti molti giorni sì a casa, ma senza terapia. Sono arrivati così contestualmente tutti in pronto soccorso, con patologie importanti, e questo ha stressato il servizio sanitario, anche dove ci sono eccellenze come in Lombardia. A pagare di più sono state le strutture monoblocco, in cui non si potevano dividere i pazienti; noi come Policlinico, con differenti padiglioni, abbiamo potuto con più facilità allestire percorsi separati». Oggi la forza dell'onda è diminuita, i medici possono curare e seguire più tempestivamente i pazienti a casa. «E sono state affinate le terapie, il trattamento domiciliare e l'attenzione al territorio. Poi, certo, è anche vero che facendo più tamponi, si individuano anche più pauci sintomatici o asintomatici». Ma ha anche funzionato il distanziamento sociale, perché ha favorito la decompressione negli ospedali. Quali terapie domiciliari stanno riducendo il numero di casi gravi? Il professor Le Foche spiega: «Sicuramente l'idrossiclorochina di fosfato associata all'azitromicina, una terapia corticosteirodea blanda ed eventuale terapia con eparine: bloccano la parte dell'infiammazione più importante».
 

Dei casi attualmente positivi, solo il 2,3 per cento è in terapia intensiva; dunque, una percentuale molto bassa - almeno stando ai dati ufficiali - è in condizioni gravi. Ma si può ipotizzare che ci sia un indebolimento del virus? Serve molta prudenza, perché in questa fase è prioritario mantenere le misure di distanziamento sociale. «Io credo in realtà che proprio queste misure comportino una riduzione dell'entropia sociale: così il virus si indebolisce, perché non ha l'opportunità di passare da persona a persona. Se ci sarà una seconda ondata in autunno, sarà meno forte».

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