Elezioni, 110 candidati trasformisti: ma chi ha cambiato casacca non ha collegi sicuri

Elezioni, 110 candidati trasformisti: ma chi ha cambiato casacca non ha collegi sicuri
Quella numero diciassette, che si è appena conclusa, è passata alla storia come «la legislatura dei voltagabbana». Secondo Openpolis ci sono stati 566...

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Quella numero diciassette, che si è appena conclusa, è passata alla storia come «la legislatura dei voltagabbana». Secondo Openpolis ci sono stati 566 cambi di casacca, un record, che hanno riguardato 347 parlamentari. Alcuni dei quali hanno finito anche per saltare da più di un gruppo parlamentare all’altro durante il quinquennio. In totale, comunque, il fenomeno riguarda un terzo degli ex eletti. Ma tanto attivismo non ha pagato in termini di riconferma: l’Istituto Cattaneo di Bologna ha calcolato che i trasformisti ricandidati al 4 marzo, per ritornare in Parlamento, dovranno «sudare non poco». Anche perché sono stati sistemati in collegi poco sicuri oppure in posizioni arretrate nei listini proporzionali. 


Il Cattaneo ha stimato che, soltanto nei collegi uninominali, «i parlamentari che hanno cambiato gruppo nella XVII legislatura risultano complessivamente 66, collocati in tutti gli schieramenti ad eccezione del M5s». Scendono a 44 quelli presenti nei collegi plurinominali. Detto questo, sembra quasi che in una politica sempre più liquida e sempre meno attenta alle tradizioni, il tema sia tabù, comporti quasi una stigma sociale. E gli effetti si vedono nelle candidature. Spiegano i politologi bolognesi: «L’ipotesi più verosimile è che i partiti maggiori abbiano preferito candidare i parlamentari cosiddetti “trasformisti” nelle competizioni più incerte, ossia quelle nei collegi uninominali dove la rielezione è tendenzialmente più complicata».
 
Unica eccezione Liberi e uguali, il partito guidato da Pietro Grasso nato proprio dalla scissione di un pezzo importante del partito democratico, rivendicando la necessità di un soggetto alla sinistra del Nazareno. Spiega lo studio: «È opportuno segnalare il caso, in controtendenza, di LeU: i parlamentari che hanno cambiato schieramento nell’ultima legislatura sono più numerosi tra i candidati dei collegi plurinominali rispetto a quelli nei collegi uninominali». In questo caso, però, è caduta la macchia del trasformismo. «Essendo composta in gran parte da parlamentari fuoriusciti dal gruppo del Pd, è probabile che la nuova formazione (LeU) abbia deciso di mettere a disposizione dei deputati o senatori ex-Pd le posizioni più sicure nella componente proporzionale della competizione elettorale». Risultato? I D’Alema o i Bersani hanno blindato la loro elezione.

Più in generale il fenomeno - e poco importi che il centrodestra batti di poco il centrosinistra - è quanto più trasversale si possa immaginare. Complice anche la spaccatura che ha riguardato il gruppo di Forza Italia dopo la decisione di lasciare il governo di larghe intese, il Partito democratico ha deciso di mettere in lista esponenti portati in Parlamento dall’ex Cavaliere come Beatrice Lorenzin, leader di Civica Popolare ma cresciuta «politicamente» accanto a Paolo Bonaiuti, Nico D’Ascola, Paolo Alli o Maurizio Bernardo. Proprio il centrodestra ha raccolto tanti «transfughi» che nella scorsa legislatura finirono per appoggiare giravolta dopo giravolta anche ad appoggiare Matteo Renzi, anche con ruoli nella compagine governativa. Come Maurizio Lupi, uno dei leader della quarta gamba berlusconiana e fondatore di Noi con l’Italia. Senza contare che alcune forze, come la sopracitata Liberi e uguali, sono nati dalle costole di altri partiti esistenti.


Spiegano i politologi del Cattaneo: «Il gruppo più consistente si trova all’interno della coalizione di centro-destra, dove sono 27 (pari al 7,8 per cento) i parlamentari che hanno ottenuto la ricandidatura nonostante (o grazie al) cambiamento di gruppo in parlamento». Per la cronaca, la Lega, con 7 voltagabbana, batte al plurinominale Forza Italia e Fratelli d’Italia. Nell’uninominale segue, distanziato di sette unità, il centrosinistra, che ha ricandidato trasformisti provenienti per lo più da Sel o da Scelta civica. Soltanto nella parte uninominale LeU ha 19 esponenti «che hanno cambiato affiliazione partitica». Sono 27 nei listini. Rispettivamente, rappresentano, il 5,5 e il 17,2 del totale. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino