Femminicidi, via ai corsi di rieducazione curare gli uomini violenti

Femminicidi, via ai corsi di rieducazione curare gli uomini violenti
L'altra faccia delle 59 donne uccise in contesti familiari nei primi sette mesi di quest'anno si chiama «maltrattanti». Sono gli uomini, arrestati o...

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L'altra faccia delle 59 donne uccise in contesti familiari nei primi sette mesi di quest'anno si chiama «maltrattanti». Sono gli uomini, arrestati o condannati, non solo per aver ucciso la loro partner o ex partner, ma anche per averle maltrattata in modi diversi. Indagati e messi in carcere, ma per loro ci sono possibilità di percorsi rieducativi. Nell'ultima legge di bilancio sono stati inseriti nove milioni da spendere quest'anno per «interventi sulla rieducazione degli uomini autori di violenza». Ma spiega Samuele Ciambriello, garante per i detenuti della Campania: «Negli istituti penitenziari esistono reparti per i sex offender, non sono solo i cosiddetti maltrattanti, ma anche i responsabili di violenze sessuali, o pedofili». Nel carcere di Poggioreale, sono al reparto Roma, mentre a Secondigliano nel reparto Adriatico.

Il governo ha approvato il progetto della Regione Campania e del Garante dei detenuti, per il recupero di una ventina di «maltrattanti» con sentenza definitiva, rinchiusi nelle carceri di Poggioreale e Secondigliano. C'è già il finanziamento di 30mila euro per una durata di sei mesi. Non solo pena, ma anche percorsi di rieducazione, con colloqui psicologici gestiti da un gruppo multidisciplinare costituito da due psicologi, un assistente sociale, un educatore professionale, un avvocato specializzato. Un progetto da realizzare nelle strutture penitenziarie, che si unisce ai programmi del Dap, affidati ai Provveditorati regionali, che seguono gli stessi obiettivi, aumentando le ore e la disponibilità degli psicologi e degli assistenti sociali che lavorano nelle carceri. Ma, negli ultimi mesi, diverse Regioni si sono attrezzate, associandosi ad associazioni, per avviare programmi di recupero dei «maltrattanti. Prima fra tutte, con il punteggio più elevato di valutazione del governo, la Regione Toscana, che ha ottenuto un finanziamento di 50mila euro. Sì a progetti regionali, oltre che in Campania, anche in Piemonte, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Puglia, Sardegna, Abruzzo, Calabria, Lazio (2 progetti con differenti associazioni), Emilia Romagna, Sicilia (2 progetti con diverse associazioni), Liguria, provincia autonoma di Trento. La rieducazione degli uomini ossessionati da un amore malato, nell'idea di possesso della donna priva di rispetto, si attua con i progetti negli istituti penitenziari, ma anche in strutture private legate alle Asl che fanno prevenzione di violenze alle prime avvisaglie. 

L'Italia arriva dopo i Paesi anglosassoni e il nord Europa. L'idea del recupero psicologico dei «maltrattanti» per evitare che ricadano nella violenza e sopraffazione sulle partner è il risultato della convenzione approvata a Istanbul nel 2011. Nella relazione approvata 4 mesi fa dalla commissione parlamentare d'inchiesta sul «femminicidio e ogni forma di violenza di genere», si spiega: «I Centri che si occupano della rieducazione si propongono innanzitutto di far comprendere agli uomini autori cosa sia la violenza e il dolore indelebile provocato alle vittime». E ancora: «Chi compie queste violenze tende a macchiarsi di atti aggressivi sempre più gravi e, in assenza di un intervento, recidivano nell'85 per cento dei casi».

Purtroppo, mentre alcune regioni come la Toscana sono virtuose per la presenza già da tempo di Centri di rieducazione per «maltrattanti», altre regioni, come il Molise, sono indietro. Nel 2019, nell'ordinamento penitenziario è stata introdotta una norma che prevede «trattamenti psicologici per i condannati per reati sessuali, per maltrattamenti contro familiari o conviventi e per atti persecutori». Già quell'anno furono avviati progetti in 52 sui 180 istituti penitenziari italiani. Spiega Samuele Ciambriello: «Certi comportamenti nascono da convinzioni culturali e esempi vissuti nelle famiglie di origine. I percorsi di rieducazione devono agire a mutare l'idea che le violenze sulle partner non sono atteggiamenti normali in un rapporto affettivo, ma prevaricazioni e reati». 

Un atteggiamento culturale dimostrato nel 2017 dal numero di appena 726 uomini avviati nei programmi di rieducazione. La rete Relive che, unisce nove centri di recupero per «maltrattanti», lamenta l'assenza di queste strutture in molte regioni anche per l'inesistenza di obbligo a partecipare ai colloqui di recupero. Eppure la partecipazione ai corsi di rieducazione in questi centri privati, o articolazioni di Asl, potrebbe diventare strumento di prevenzione delle violenze. I progetti di rieducazione negli istituti penitenziari intervengono invece dopo il reato, per evitare recidive di comportamenti violenti. C'è ancora molto da fare, su uomini che rifiutano la partecipazione ai colloqui, non ancora consapevoli di essersi macchiati di comportamenti sbagliati. Indicativa la frase di un detenuto «maltrattante»: «Mio padre picchiava mia madre e nulla è successo. Perché io, che ho fatto lo stesso con mia moglie, sono stato denunciato e messo in carcere?» 

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Il Mattino