PORDENONE - I parenti del pesista sardo Gianfranco Manconi - uccisosi il 17 febbraio scorso a Bosa Marina (Oristano) - temono che tra la morte del trentottenne e il duplice...
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A darne notizia è stato il settimanale "Giallo", che fa anche riferimento a una burrascosa telefonata ricevuta da Manconi poche ore prima di uccidersi. Il pesista gridava al telefono, chiedeva di essere lasciato in pace e faceva riferimento a un processo tuttora in corso a Pordenone. Secondo i suoi familiari, Manconi sarebbe stato minacciato per i suoi trascorsi pordenonesi. A spingerlo al suicidio sarebbe stata la paura per le continue intimidazioni, non la disperazione di un’atleta travolto dai guai giudiziari (a Pordenone aveva patteggiato nel 2010 un anno e otto mesi per traffico di anabolizzanti, mentre a Udine, lo scorso settembre, era stato condannato a 3 anni e 3 mesi per una rapina con pestaggio a Varmo).
A Pordenone Manconi frequentava la palestra fit-ness della pesistica. Il suo nome era stato collegato all’Associazione pesistica pordenonese (quella frequentata da Trifone Ragone) per via di una gara di panca orizzontale, vinta a livello regionale nel 2009, fatta come amatore non come agonista. A Pordenone era arrivato su consiglio di un amico militare, convinto che sarebbe stato facile trovare un lavoro. Aveva trovato un impiego come buttafuori in un night club della zona di Conegliano famoso per spettacoli di lap dance.
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Il Mattino