CASIER «No, non sto bene. Siamo tutti insieme. Positivi e negativi. Ma cosa possiamo fare? Niente». Risposte monche. E faticose. Che traducono il morale sempre...
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LA STORIA
Patrice è uno con la testa sulle spalle. Arrivato in Italia dopo un viaggio lunghissimo e inenarrabile, oggi ha le idee chiare. Vuole per sé un futuro di dignità e lavoro. È sempre stato un ragazzo posato, attento soprattutto a integrarsi e migliorarsi. Ha studiato in mezzo a moltissime difficoltà, non ha neppure avuto la soddisfazione di sostenere l'esame di maturità in presenza perché già iniziavano i casi di positività all'ex Serena. E ora si dice preoccupato. E anche sfiduciato. Perché tutto quello che si era costruito in anni di lavoro rischia di svanire. «È' già la seconda quarantena. È chiaro che qui in caserma ci si infetta più facilmente. Le persone sono rispettose, usano le mascherine. Ma siamo troppi in troppo poco spazio».
I TIMORI
Per Patrice la posta in gioco è alta. Il giorno in cui alla caserma Serena è stata dichiarata la quarantena aveva un importante colloquio di lavoro. È saltato tutto. I pochi negativi (Patrice era all'epoca tra loro) avevano chiesto di essere separati dai compagni positivi. E questo sembrava in un primo tempo possibile, ma poi è andata diversamente. «Mangiamo insieme, usiamo gli stessi bagni. Come si fa?». Oggi si rifanno i conti: la situazione è precipitata. E anche l'umore degli ospiti. Ufficialmente Patrice non ha ancora ricevuto il responso personale del tampone, ma i numeri diramati dall'Usl parlano abbastanza chiaro. «Quello che ci è stato detto è che ci sono aspetti positivi ma non causano la malattia, dopo pochi giorni di quarantena la malattia passerà, mi sento in gran forma ma a forza di pensare siamo sempre più malati, molte persone hanno perso il lavoro, è davvero difficile quello che stiamo attraversando ora». Al pensiero per la malattia si assommano le condizioni in cui i ragazzi vivono all'interno della caserma.
LA CONVIVENZA
Patrice sul punto preferisce non esporsi ma altri ospiti hanno chiarito che la struttura è sempre meno curata, la promiscuità molta, i bagni malfunzionanti, le tubazioni si rompono e si allaga tutto. Oltre ai troppi ammassamenti, come dimostra l'escalation del contagio. Oggi Treviso è il primo focolaio d'Italia. Triste primato vissuto con angoscia dagli ospiti dell'hub. «Non riusciamo a capire chi ha il coronavirus perché nessuno sta veramente male - aggiunge Mohammed - cerchiamo di fare le nostre cose come sempre, è bruttissimo essere chiusi qui dentro ma soprattutto chiedersi se domani ci ammaleremo e se peggioreremo. Siamo troppi nelle stanze, troppi nei bagni, troppi nella sala mensa». Anche Mohammed è arrivato in Italia con un sogno nel cassetto: anche lui sta bruciando le tappe della lingua e dell'inserimento. E anche lui si sente vittima di questa situazione. «Io non sto male. Sono ancora negativo. Ma stanno riprocessando alcuni tamponi. Quindi dobbiamo attendere». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino