Gas russo verso la Ue bloccato da Kiev: «Il passaggio nel Donbass è un rischio»

Gas russo, in Ucraina stop a un terzo delle forniture verso l'Europa. «Forze di Mosca interrompono le operazioni»
 A rischio un terzo del gas russo diretto in Europa. Uno dei due punti di ingresso in territorio ucraino, quello di Sokhranivka, nel Donbass, chiude infatti a partire dalle 7...

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 A rischio un terzo del gas russo diretto in Europa. Uno dei due punti di ingresso in territorio ucraino, quello di Sokhranivka, nel Donbass, chiude infatti a partire dalle 7 di questa mattina, come riferito dal gestore nazionale della rete di distribuzione e riportato da Bloomberg. All’origine della decisione, le operazioni belliche nella regione portate avanti dalle forze russe di occupazione che mettono a rischio il sistema di trasporto e impongono una chiusura per cause di forza maggiore. La mossa rappresenta un nuovo fattore di rischio per i flussi verso l’Europa in un momento critico per il riempimento degli stock sotterranei in vista dell’inverno, per cui l’Ue prevede un ambizioso target dell’80% a novembre: la scelta di Kiev - ha chiarito l’operatore ucraino - non impedisce tuttavia al gas di essere reindirizzato verso la seconda porta di ingresso nel Paese, cioè la stazione di compressione di Sudzha, garantendo così il rispetto degli impegni di fornitura pattuiti da Gazprom con i vari Paesi europei. Un primo impatto si è però registrato ieri sui mercati, con il prezzo del gas che sulla piazza di riferimento di Amsterdam ha chiuso in rialzo a 98,8 euro al megawattora. 

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Le difficoltà

Ad una settimana dalla presentazione del sesto pacchetto di sanzioni, continua intanto in Europa il braccio di ferro sullo stop al petrolio di Mosca: oggi tornano a riunirsi nel Coreper i rappresentanti permanenti dei Ventisette a Bruxelles, in quella che è la riunione ordinaria del mercoledì, ma ancora ieri le trattative con l’Ungheria, la principale oppositrice del piano data la sua dipendenza dal greggio russo, navigavano a vista. Per ora non è previsto un vertice dei ministri degli Esteri, ma dopo il faccia a faccia di lunedì con Ursula von der Leyen a Budapest, ieri Viktor Orbán ha parlato al telefono con il presidente francese Emmanuel Macron. Esponenti del governo di Parigi si sono ottimisti sull’intesa «a giorni», ma dall’altro lato è è saltata la videochiamata con i leader dell’Europa orientale maggiormente preoccupati dall’embargo al greggio che era stata prevista in un primo momento per la mattina. Si attende invece, la fine dei progressi tecnici sul dossier.

 

 

Al lavoro per appianare le divergenze, sul tavolo ci sono le due condizioni poste da Budapest per rimuovere il veto: da una parte più tempo per dire addio alle forniture russe (secondo l’attuale bozza, a Ungheria e Slovacchia sono riconosciuti due anni supplementari, alla Repubblica Ceca uno e mezzo), dall’altra sostegni economici Ue per la riconversione industriale degli impianti di raffinazione che sono tarati sul petrolio russo. Mancando uno sbocco sul mare, l’Europa centro-orientale non può ricevere carichi via nave e teme di non riuscire a garantirsi forniture alternative: da qui il confronto allargato agli altri leader della regione. E a dimostrazione che il clima è ancora teso, si è consumato pure uno scontro diplomatico con la Croazia, dopo che Orbán si è spinto a dire che «anche l’Ungheria avrebbe un porto, se non le fosse stato tolto l’accesso al mare», un’allusione a Rijeka (in italiano Fiume) persa in seguito alla Prima guerra mondiale. Intanto, in Russia la morsa delle sanzioni occidentali si fa sentire su alcune regioni attese dal voto amministrativo a settembre: i governatori di Tomsk, Saratov, Kirov e Mari El, in crisi di popolarità a causa dell’economia in difficoltà, ieri hanno presentato le loro dimissioni al Cremlino.

 

 

 

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Il Mattino