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Il democrat Dario Franceschini, suo predecessore, gli ha fatto gli auguri di buon lavoro. E Gennaro Sangiuliano, giornalista di razza, scrittore e saggista, appena passato dalla direzione del Tg2 alla guida del ministero del Collegio Romano, ossia cultura, patrimonio storico-artistico-museale, spettacolo, è già - il tipo questo è: iper-fattivo e appassionato - molto calato nel nuovo ruolo affidatogli da Giorgia Meloni.
La persona giusta al posto giusto?
«La risposta la darà il tempo. Io intanto ce la metterò tutta. E ho un po’ di linee guida e di idee a cui tengo. Le cito la Canzone all’Italia di Giacomo Leopardi: O patria mia, vedo le mura e gli archi / E le colonne e i simulacri e l’erme / Torri degli avi nostri...».
Perché sta recitando questi versi?
«Perché voglio cominciare proprio da Leopardi. E da Dante, da Benedetto Croce, da Giovanni Gentile, da Giuseppe Prezzolini. E direi anche da Antonio Gramsci».
Gramsci? Ma lei e il governo di cui fa parte non siete di destra?
«Può apparire sorprendente che citi il grande pensatore e politico comunista, ma nel saggio Letteratura e vita nazionale, di cui posseggo l’edizione Einaudi del 1954, egli pone il tema del ritorno a De Sanctis e si scaglia contro la filosofia della prassi, contro quelli che Gramsci stesso definisce i pappagalli che credono di possedere la verità. E io, come Gramsci, vedo in giro molti pappagalli».
E chi sarebbero i nuovi pappagalli?
«Sono i sacerdoti del politicamente corretto e del mainstream».
Ma da destra come si fa a combattere queste due tendenze effettivamente pervasive?
«Promuovendo una cultura inclusiva, che tenga conto di tutte le pluralità della nostra identità.
Non è che voi, impegnati da decenni a criticare l’egemonia culturale della sinistra, volete creare un’egemonia di destra?
«Ma non sia mai! Io mi impegnerò per la promozione della cultura più larga e più libera possibile».
Lei è un intellettuale, ma fare il ministro richiede un’attitudine pratica. Lei a quali problemi metterà subito testa e mano?
«Abbiamo un immenso patrimonio storico-artistico e culturale che molte volte è scarsamente fruibile a causa di problemi di mezzi di trasporto che mancano, di carenza di parcheggi, di vie di accesso difficili, di mancanza di personale, di conservazione carente o imperfetta, e via così. C’è da fare un grande lavoro di infrastrutturazione della cultura».
Il Pnrr mette a disposizione risorse per questo.
«Sì, le mette e in maniera molto cospicua. Saremo capaci di utilizzarle».
Si dice spesso, e spesso non a torto, che le soprintendenze frenano i tentativi di innovazione. Come evitare l’impaludamento?
«Bisogna uscire da una mentalità solo conservativa dei beni culturali. E occorre creare con coraggio un nuovo immaginario italiano».
Che cosa significa nuovo immaginario?
«Significa che la nostra cultura va raccontata anche con gli strumenti della modernità: cinema, serie televisive, social. Bisogna riformare il fondo unico per lo spettacolo, il Fus, e riformare la burocrazia relativa alla raccolta e all’uso dei finanziamenti pubblici».
Come cambiare il rapporto tra i privati e il pubblico nel campo dei musei e in generale in quello culturale?
«Lo Stato è fondamentale quando si parla di cultura. I privati devono collaborare ma deve cambiare la mentalità delle istituzioni pubbliche e diventare una mentalità più attiva, più intraprendente. Guai ad avere paura dei privati e del mercato, guai a chiudersi a riccio e a diffidare di ogni intervento e aiuto e sostegno esterno. E aggiungo. L’ottimo Sabino Cassese, tempo fa, ha scritto a proposito della paura della firma dei burocrati. Questa paura ritarda, anche in campo culturale, iniziative e realizzazioni».
Non teme che gli ambienti culturali, schierati a sinistra, la boicottino?
«Mi auguro proprio di no. E credo che anche a destra ci siano delle validissime energie intellettuali. Qui non si tratta di limitare nessuno, ma non devono esistere figli di un Dio minore».
Chi chiama a collaborare con lei?
«Proverò a coinvolgere Beatrice Venezi, la direttrice d’orchestra, ma anche Pietrangelo Buttafuoco e lo storico ed ex assessore regionale dem Gianni Oliva. Un grande sogno sarebbe poter collaborare con Claudio Magris».
Si ispirerà più a Bottai o a Ronchey?
«Mi ispirerò a Giovanni Spadolini, che oltretutto arrivò al ministero dal giornalismo». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino