Chissà che cosa si dicevano, l'altro giorno, Luigi Di Maio e Carlo Sibilia, piuttosto tesi, in un angolo di Montecitorio al primo piano, a due passi dalla sala in cui...
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Potrebbero rientrare in una dinamica di sgambetti interni a M5S anche gli attacchi giornalistici che hanno preso per bersaglio Vincenzo Spadafora, il quale non nasce 5 stelle ma è diventato il consigliere più vicino e più fidato di Di Maio. E forse questi attacchi non sono estranei all'annuncio del possibile ministro (si è parlato, ma i toto-nomi valgono quel che valgono, per lui del dicastero dell'Istruzione o di quello dei Beni Culturali), piovuto ieri a metà pomeriggio: «Non sarò nel governo». Una maniera per placare le acque (e le invidie). E per evitare che attacchi ad personam, dettati da malumori interni, potessero pregiudicare la nascita del governo. C'è tutto un mondo grillino o filo-grillino (lo stesso Beppe non sembra sprizzare felicità) che è rimasto orfano dell'ipotesi di abbraccio con il Pd e non ama il tandem con la Lega. C'è la senatrice napoletana Paola Nugnes, vicinissima a Fico, ha annunciato che non voterà i provvedimenti di marca lumbard. Ci sono i malpancisti silenziosi, che sperano che Di Maio il «democristiano» sia solo una parentesi, per poi godersi il ritorno del Che (ossia il Dibba) dal Sudamerica e allora sì che sarà révolucion. Vengono indicati come «critici» il senatore savonese Matteo Mantero, Nicola Morra (che comunque è uomo di mondo), il neo-eletto Vincenzo Presutto.
Esiste soprattutto un dato di fatto. Spadafora sembra essere stato vittima dell'ala oltranzista. È risultato il bersaglio perfetto, in quanto rappresenta l'esterno non nativo grillino, che in breve tempo scavalca tutti nel gradimento del leader. Ora, mettendosi fuori dal novero dei ministeriabili, Spadafora ha dato una lezione agli altri, dimostrando di non essere attaccato alla poltrona. È stato accusato, e non da ora, di avere un passato (ha lavorato con Rutelli, per dirne una). Come se avere un passato fosse una colpa e non potesse essere invece un bagaglio di esperienze e di competenze sul campo. Quelle che mai come adesso dovrebbero risultare preziose e ricercate. Il paradosso è che la perizia e la conoscenza vengono respinte, proprio nel momento in cui i 5 stelle che si accingono a governare, hanno bisogno - oltre che di ministri, vice e sottosegretari - di almeno 100-150 burocrati, grand commis, capi di gabinetto, direttori di uffici legislativi e altre competenze, che sono quelle che sono l'ossatura di un esecutivo e la nervatura di una esperienza politica che vuole cambiare tutto. Ma per farlo, ha bisogno di chi conosce i meccanismi da cambiare (e anche quelli da non toccare). Leggi l'articolo completo su
Il Mattino