Alex sta bene. Uscirà questa mattina dall'ospedale Bambin Gesù di Roma dove era ricoverato da metà dicembre, trasferito dal Great Ormond Street di Londra...
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Alex non mostra rigetto e migliora. Potete iniziare a sognare una vita fuori da un ospedale?
«Abbiamo scavallato la montagna più alta, è passata la fase più rischiosa perché il midollo funziona. Ora inizierà un periodo di sei mesi di assestamento e, solo dopo, la vita normale. Occorreranno ancora precauzioni per impedire infezioni, ma presto Alex vivrà lontano da medicine, monitor, ambienti asettici».
In tutti questi mesi in ospedale, qual è stata la sensazione più forte che ha prevalso?
«La fiducia. La forza di credere di farcela ce l'ha data prima di tutto Alex, che non ha mai smesso di lottare e sorridere. E poi le persone comuni che con messaggi continui ci hanno accompagnato lungo questa scalata, tenendoci sempre per mano. Sconosciuti che ci hanno offerto ospitalità, trasporti, baby sitter, sostegno psicologico gratuito e a cui dico grazie del profondo del cuore. E vorrei tanto che questa catena di solidarietà non si interrompa, per dare speranza a tanti bambini e ai loro genitori. Invito a continuare a donare per salvare altri Alex».
La campagna «Match4Alessandro. Match4All» organizzata dall'Admo ha infatti permesso di salvare la vita di quattro bambini.
«Non sapevo fossero quattro, ne sono felicissimo. Con noi si è messa in contatto solo una famiglia per ringraziarci, perché hanno trovato un midollo compatibile nonostante due mesi prima quel midollo non c'era, quindi è grazie ad Alex che quel donatore si è fatto avanti. Ma a salvare questi quattro piccoli, e chissà quanti altri, sono stati tutti questi giovani straordinari che si sono messi in fila per ore e sfidato le intemperie. Spero solo che, calando l'attenzione mediatica, proseguano le donazioni. Dai dati che mi hanno comunicato, so che sono soprattutto ragazzi napoletani: ringrazio i loro genitori per aver cresciuto persone così straordinarie, li abbraccerei uno a uno».
Quale sarà la prima cosa che vuole fare con suo figlio, non appena i medici le diranno che può tornare a una vita normale?
«L'ho sempre detto e lo farò: portarlo a mangiare un gelato. Un'azione semplice che finora non ha ancora potuto assaporare. E lo faremo in Svizzera, perché in questi mesi il gelataio Davide (che conosco solo telefonicamente) mi ha tenuto compagnia e incoraggiato quando ha saputo di questo desiderio». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino