Iran-Usa, dialogo a rischio: ecco le nuove sanzioni di Trump

Iran-Usa, dialogo a rischio: ecco le nuove sanzioni di Trump
NEW YORK - Si avvicina l'estate, e a Washington si respira una tensione torrida simile a quella che nel 2017 vide il confronto fra Usa e Corea del Nord arrivare ai limiti di...

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NEW YORK - Si avvicina l'estate, e a Washington si respira una tensione torrida simile a quella che nel 2017 vide il confronto fra Usa e Corea del Nord arrivare ai limiti di una guerra. Oggi il nemico che spinge Donald Trump verso l'orlo del baratro è l'Iran. Con una manovra a tenaglia, in parte economica e in parte militare, la Casa Bianca stringe il cappio intorno a Teheran, generando non poco nervosismo fra gli alleati, non solo europei. L'ultimo passo compiuto dal presidente Usa è di imporre sanzioni contro la Persian Gulf Petrochemical Industries Company (Pgpic), la più grande holding petrolchimica dell'Iran, responsabile del 50 per cento delle esportazioni del settore petrolchimico di Teheran. Il provvedimento colpisce anche 39 aziende surrogate o collegate alla Pgpic.

 
Le sanzioni vietano alla Pgpic e alle sue sussidiarie di accedere al mercato statunitense o al suo sistema finanziario, incluso attraverso altre aziende straniere, e allo stesso tempo congela ogni deposito o proprietà che la ditta abbia negli Usa. La ragione di questa punizione straordinaria sarebbe che la Pcpic fa affari con la Islamic Revolutionary Guard Corps, la Guardia Rivoluzionaria dello Stato islamico iraniano, che gli Usa hanno lo scorso aprile incluso nella lista delle organizzazioni terroristiche internazionali. Il passo delle sanzioni è stato accolto con sarcasmo dai leader iraniani, poiché è arrivato dopo dichiarazioni contraddittorie da parte di Trump. Solo tre settimane fa il presidente aveva detto che voleva che i leader iraniani lo chiamassero per discutere, e anzi la Casa Bianca aveva passato all'ambasciata svizzera a Teheran il numero di cellulare privato del presidente, da offrire agli iraniani nel caso volessero chiamarlo direttamente, senza intermediari. L'offerta di parlare è venuta di nuovo la scorsa settimana, ma nel frattempo, fra l'uno e l'altro intervento di apertura, la Casa Bianca ha continuato anche su una strada di estrema ostilità, e ha annunciato che c'erano sospetti di possibili attacchi iraniani contro interessi americani nella regione, dopodiché aveva richiamato in patria centinaia di funzionari di varie ambasciate del Medio Oriente. Contemporaneamente aveva inviato nella zona un gruppo navale capeggiato dalla portaerei Abraham Lincoln, rinforzato dal dispiego di bombardieri B-52 e di batterie antimissile Patriot. Il tutto completato da una nuova stretta delle sanzioni, di cui l'ultimo atto è stato quello annunciato ieri contro la holding petrolchimica. Osservatori indipendenti hanno poi ipotizzato che i possibili attacchi ipotizzati dagli americani non erano che manovre difensive. In altre parole: era l'Iran che temeva di essere attaccato e si preparava a difendersi. Ieri dunque il ministro della Difesa iraniano, Amir Hatami ha definito le ipotetiche «aperture» di Trump come delle «bugie demagogiche», mentre ha bollato le nuove sanzioni come una manifestazione di «terrorismo economico». Intanto è arrivato nella regione il ministro degli Esteri tedesco Heiko Maas, con la precisa missione di tentare di calmare le acque.


I rischi ci sono e sono tangibili. In queste settimane di aumentata tensione, ad esempio, l'Iran ha minacciato di chiudere lo stretto di Hormuz, canale di navigazione vitale per il commercio del petrolio, mentre qualcuno ha danneggiato quattro navi petrolifere nei porti degli Emirati Arabi Uniti. L'Iran nega con forza di aver avuto un ruolo nelle azioni contro le navi, ma non si può ignorare la possibilità che qualche gruppo militante esterno abbia agito per conto di Teheran. Oltre alla questione nucleare, uno degli elementi di protesta da parte degli Stati Uniti e degli stessi alleati europei, è l'espansionismo iraniano nella regione, a cominciare dalla Siria, per giungere all'Iraq, il Libano e lo Yemen. Gli iraniani hanno risposto sostenendo che le accuse sono parte di «una escalation nella guerra propagandistica» che gli Usa stanno facendo a loro danno. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino