Libia fuori controllo, allarme degli 007: rischio kamikaze contro gli aerei

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ROMA - Tripoli brucia. Negli scontri delle ultime due settimane ci sono stati oltre 200 morti e più di 400 feriti.



Gli stranieri fuggono, è troppo pericoloso restare. Chiudono le ambasciate, una dopo l’altra. Ieri hanno lasciato il suolo libico francesi, tedeschi, spagnoli e cinesi. Gli americani sono andati via prima. Si usano tutti i mezzi, per fuggire: navi civili, navi militari, aerei militari. Si fugge anche via terra, dalla frontiera tunisina. Una delegazione della Ue è stata appunto fatta passare in Tunisia. Le sole ambasciate che restano aperte sono quelle di Italia, Malta, Gran Bretagna, Romania e Ungheria.



GLI AEREI KAMIKAZE

Mentre i jihadisti annunciano di aver preso Bengasi - «È emirato islamico» - continua la battaglia per il controllo dell’aeroporto di Tripoli. I servizi segreti di Marocco, Algeria, Tunisia ed Egitto sono allarmati. In particolare quelli del Cairo, che hanno preso sul serio l’ipotesi, ventilata dagli algerini, che i jihadisti possano usare aerei libici per attentati suicidi. L’aeroporto della Capitale egiziana ha portato lo stato di allerta al più alto livello e sono state impartite istruzioni di trattare «con il massimo della forza» qualsiasi aereo che violi le procedure di accesso allo scalo. Fonti di Intelligence occidentali riferiscono invece che i 10 aerei civili fermi sulla pista dell’aeroporto di Tripoli e caduti in mano alle milizie islamiche non sono in grado di volare perché danneggiati dai bombardamenti. Forse è per questo che l’Italia non ha innalzato i propri sistemi di difesa anti-aerea. Ma perché l’Italia resta in Libia accettando di correre rischi notevolissimi? Lo ha spiegato Renzi: «Restare in Libia significa tentare di avere un ruolo su alcune delle questioni geopolitiche più importanti dei prossimi anni, come pace, sicurezza e immigrazione».



IL RISCHIO SOMALIA

Aggiunge il viceministro degli Esteri, Lapo Pistelli: «Non ci si può permettere di avere una seconda Somalia alle porte di casa. Siamo impegnati 24 ore su 24 affinché la Libia abbia un governo. Chi parla con i nuovi interlocutori sul campo se tutti vanno via?». Sottolinea Pier Ferdinando Casini, presidente della Commissione Affari esteri del Senato: «Noi ci siamo e ci vogliamo rimanere. Ma l’Onu deve prendere immediatamente l'iniziativa di una missione internazionale». Il rischio della somalizzazione della Libia resta tuttavia altissimo, nonostante gli sforzi dell’Italia. Il nostro Esercito ha addestrato alcuni reparti di quello libico per supportare meglio, quanto a sicurezza, l’operato del governo di Tripoli. Ma il punto è: esiste un governo a Tripoli? Nessuno Stato mostra più alcun interesse ad intervenire militarmente in Libia, a cominciare dagli Usa. L’Italia è rimasta tra i pochi Paesi a credere nella riattivazione di un processo politico che porti alla stabilizzazione del Paese.



LA VIA D’USCITA


La speranza è, come afferma il ministro degli Esteri Federica Mogherini, che «lo scontro si sposti dal piano militare al piano politico-istituzionale e avvenga dentro al Parlamento con dinamiche che dovranno essere interamente libiche» e con «un ruolo di sostegno» della comunità internazionale. Intanto, nell’attesa della prima riunione del Parlamento libico prevista per il 4 agosto, «è probabile che gli scontri continuino», come riconosce la stessa Mogherini. In Libia restano ancora 241 italiani più altri 45 tra personale d’ambasciata e delle Istituzioni. «Siamo impegnati a contattarli personalmente - ha detto Mogherini - per offrire loro la possibilità di rientrare. Altri 830 italiani con la doppia cittadinanza forse sceglieranno di restare». Leggi l'articolo completo su
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