«Ho fatto a pezzi il corpo di Pamela Mastropietro» ma la ragazza «era già morta per overdose dopo aver assunto eroina». A sei mesi dalla morte della...
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Il nigeriano, tramite un interprete in lingua inglese, è stato sentito oggi per l'ennesima volta (la seconda nel carcere di Ascoli Piceno) dal Procuratore Giovanni Giorgio, presente anche un ufficiale del Ris: ha ribadito però di non aver ucciso né violentato Pamela, sostenendo di aver avuto con lei un rapporto sessuale consenziente in un sottopasso vicino ai Giardini Diaz il 30 gennaio, poco dopo averla incontrata e poche ore prima del delitto. Dopo aver constatato che il cadavere della ragazza non entrava in un trolley comprato per disfarsi del corpo, ha raccontato ancora Oseghale al Procuratore, decise di sezionarlo e di riporne alcune parti anche nel trolley blu-rosso della giovane.
È una confessione parziale che segue una girandola di versioni fornite agli inquirenti dal 29enne per negare ogni addebito nei precedenti faccia a faccia.
La difesa non concorda con la tesi accusatoria: «In base a quanto ci riferiscono i nostri consulenti - spiega - la povera ragazza è morta per un malore conseguente all'assunzione di droga non perché colpita con un coltello quando era in vita». Oseghale ha anche scagionato il connazionale Lucky Desmond (in carcere ora per spaccio di droga) da lui stesso chiamato in causa in precedenza, riferendo di essere stato da solo in casa con Pamela al momento del presunto malore fatale. Il ritrovamento, il 31 gennaio, dei due trolley con il cadavere di Pamela fatto a pezzi nelle campagne di Pollenza, vicino Macerata, portò subito gli investigatori sulle tracce del nigeriano che aveva chiesto la sera prima a un amico 'tassistà camerunense, successivamente testimone decisivo, di accompagnarlo per poi abbandonare le valigie sul ciglio di una curva. Ma ad accusare Oseghale sono soprattutto i reperti biologici trovati sui resti del corpo di Pamela e le sue impronte, le sole rilevate sul luogo del delitto dai carabinieri del Ris.
Il Mattino