Pedofilia, casi aumentati del 132% in un anno. «È l'effetto del lockdown»

Pedofilia, casi aumentati del 132% in un anno. «È l'effetto del lockdown»
La mancanza di relazioni, l’isolamento sociale, la noia: la pandemia ha tra gli effetti collaterali uno dei reati più aberranti del Codice penale, la pedofilia....

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La mancanza di relazioni, l’isolamento sociale, la noia: la pandemia ha tra gli effetti collaterali uno dei reati più aberranti del Codice penale, la pedofilia. Bambini e ragazzi chiusi in casa si sono trovati a utilizzare sempre di più la tecnologia e la Rete con un incremento preoccupante dei reati online contro i minori. La conferma arriva dai dati del “Centro di Ascolto e consulenza 1.96.96” di Telefono Azzurro che ha registrato una media di circa 6 casi al mese di abusi sessuali offline e 5 online (dati 2020). «Numeri agghiaccianti - li ha definiti la direttrice del servizio Polizia postale, Nunzia Ciardi - con un aumento nel 2020 del 77%, e un sensibile abbassamento dell’età delle vittime. Nello specifico, i casi di pedopornografia sono cresciuti del 132%». E, solo nei primi mesi del 2021, sono stati già 52 i casi di abusi nei confronti di bambini con una età minore di 9 anni. 

A restituire la fotografia dell’aggravarsi di uno dei peggiori fenomeni criminosi che coinvolge il mondo dell’infanzia, è stato ieri il Telefono Azzurro durante la presentazione di dati e dossier in un confronto con le istituzioni italiane e vaticane all’ambasciata d’Italia presso la Santa Sede, nella giornata nazionale contro la pedofilia. L’aumento preoccupante dei fenomeni di violenza e abuso nell’anno del Covid è stato evidenziato da tutti, con particolare allarme per quelli perpretrati online, con il brooming, il sexting, il revenge porn, il sextorsion. Per questo è stata ampiamente condivisa anche la necessità di fare appello ai maggiori social network come Facebook affinché vigilino maggiormente. 

In totale durante l’anno 2020, i minori coinvolti nei casi di abuso sessuale offline gestiti dal numero di emergenza sono stati 118. L’89 per cento di questi sono stati individuati come le vittime, l’8% come testimoni e il 3% come autori. Nel 32% dei casi, si è trattato di bambini tra gli 0 e i 10 anni, nel 30% di preadolescenti tra gli 11 e i 14 anni (+19 rispetto al 2019) e nel 38% di adolescenti tra i 15 e i 17 anni. Il 76% dei minori coinvolti è di sesso femminile e il 24% maschile. Particolarmente inquietante il dato che rileva come l’abuso avvenga soprattutto tra le pareti domestiche: nel 46,8% dei casi come presunti responsabili sono coinvolti i genitori.

«La tecnologia - sottolinea ancora Ciardi - è stata fondamentale per i più piccoli durante l’isolamento per mandare avanti l’istruzione con la didattica a distanza e li ha aiutati a mantenere i contatti con gli amici e i parenti. Ma questo uso massiccio ha avuto un costo molto alto, specialmente dove i bambini sono stati lasciati soli davanti al computer». 

I piccoli vengono adescati, convinti a mandare immagini sessualmente esplicite e poi ricattati. E i bambini che non hanno ancora compiuto 10 anni vengono agganciati nelle chat delle app di gioco. Questo vuol dire - per gli esperti - che si lascia i figli troppo soli davanti alla Rete. Altro elemento inquietante riguarda, poi, l’aumento dei minori autori di reato. Negli ultimi 5 anni il numero di minori denunciati per aver commesso reati online è cresciuto del 213% e si è anche abbassata l’età media degli accusati, da 16 anni a 15. Nel 91% dei casi sono maschi. Sono ragazzini che creano chat di gruppo in cui si scambiano video pedopornografici, immagini di abusi sessuali e video “gore”, filmati reali di violenze anche mortali inflitte a persone che provengono dal deep web, la parte meno accessibile della Rete. Tra i reati compiuti dai minori è in aumento anche il revenge porn: scambiano immagini e video sessuali delle loro ex fidanzate con il gruppo. 

Altrettanto avviene per il cyberbullismo che ha avuto, durante la pandemia, un incremento di denunce del 96%. Come spiega la Polizia postale, è stato accertato che vivere attraverso lo schermo abbassa la percezione della consapevolezza delle proprie azioni. Anche l’hate speech sui social nasce da questa incapacità comportamentale. La Rete viene spesso vista come una zona franca, dove non ci sono responsabilità per quello che si dice e si fa. E in questo scenario diventa ancora più determinante il ruolo dei genitori e della scuola. 

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Il Mattino