Putin, il ritorno dello zar: attacco all'Ucraina in nome della nostalgia, un tratto dell’anima russa

Putin si prepara al conflitto in nome della nostalgia, un tratto dell’anima russa
«Il tempo, in alcune culture, ha uno spessore e una profondità diverse da quelle che ha in altre. Se vai a Mosca o a San Pietroburgo ti rendi conto che nei russi...

OFFERTA SPECIALE

2 ANNI
99,98€
40€
Per 2 anni
SCEGLI ORA
OFFERTA FLASH
ANNUALE
49,99€
19€
Per 1 anno
SCEGLI ORA
 
MENSILE
4,99€
1€ AL MESE
Per 3 mesi
SCEGLI ORA

OFFERTA SPECIALE

OFFERTA SPECIALE
MENSILE
4,99€
1€ AL MESE
Per 3 mesi
SCEGLI ORA
 
ANNUALE
49,99€
11,99€
Per 1 anno
SCEGLI ORA
2 ANNI
99,98€
29€
Per 2 anni
SCEGLI ORA
OFFERTA SPECIALE

Tutto il sito - Mese

6,99€ 1 € al mese x 12 mesi

Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese

oppure
1€ al mese per 3 mesi

Tutto il sito - Anno

79,99€ 9,99 € per 1 anno

Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno

«Il tempo, in alcune culture, ha uno spessore e una profondità diverse da quelle che ha in altre. Se vai a Mosca o a San Pietroburgo ti rendi conto che nei russi è ancora viva la memoria della Seconda guerra mondiale, addirittura dell’invasione napoleonica. Il romanzo nazionale russo è Guerra e Pace». Germano Dottori, consigliere scientifico di Limes, legge le parole di Zar Putin con l’occhio dell’analista, ossia del russo. In fondo, per capire il discorso alla nazione di Vladimir Vladimirovič si deve uscire dalla prospettiva storica e temporale di noi occidentali, anzi di noi europei dell’Ovest. «Il discorso di Putin aveva toni balcanici. La sua platea non era il mondo, erano la Russia e l’Ucraina. Il che significa che gli spazi per mediare con Mosca si riducono drasticamente, perché la storia non si negozia, tanto meno con gli stranieri».

 

Ucraina, l'Ambasciata italiana ai connazionali a Kiev: «Lasciate il Paese, chi rimane si procuri cibo e acqua»

Ucraina, l'esercito fantasma di Putin che avanza di nascosto

 

 

La rivendicazione

 

 

Ecco perché ciò che è apparso dal Cremlino, agli occhi di un parigino, un londinese, un berlinese, un romano, come un anacronismo che sa di muffa antiquaria, è invece, nella patria di Putin, la lucida e convincente rivendicazione di una dimensione imperiale che appartiene all’anima russa, alla sua nostalgia. E sì, la guerra si può fare anche per il gas, ma quella che si fa per nostalgia, in nome della storia, è la più resistente. Ce lo insegnano i dieci anni di guerra nella ex Jugoslavia. Anche per Sergio Romano, storico ed ex ambasciatore a Mosca, Putin «è un restauratore, il suo obiettivo è quello di restituire al suo Paese quella autorevolezza che aveva conquistato dopo il ’45. È un nazionalista e un patriota. Il suo è un grande Paese consapevole d’aver perduto lo status che aveva meritatamente conquistato, perché la Seconda guerra mondiale era stata un’operazione di grande rilievo e grandi perdite. La bandiera dietro Putin, durante il discorso, era quella della Russia zarista». In più, vale a Mosca una interpretazione quasi sacrale del potere del capo, che incarna lo Stato e la nazione. «Noi occidentali – dice lo storico Franco Cardini – ci siamo abituati a un super potere invisibile in cui la politica è prassi delle élite». Altrove, prevale un’altra idea. «La Russia ha attraversato una lunga fase di rapporto profondo, bizantino, sacrale tra il potere regale e quello sacerdotale, noi una altrettanto lunga secolarizzazione del potere». La stessa Unione Sovietica «non si era allontanata dai vecchi schemi, se si guardano i solenni funerali del Maresciallo Stalin».

Il Potere russo, quello di Putin e degli Zar, travalica la sfera materiale, «è meta-storico e meta-naturale». È di fronte a questa immagine di un Potere antico e assoluto, nel quale Putin invita a riconoscersi tutti i russi (compresi quelli dell’Ucraina), che la platea occidentale si è trovata spiazzata e forse priva degli strumenti per comprendere. E assume quindi senso tutta la simbologia, la storia e la geografia imperiale che si traducono sul terreno nelle immagini scolorite delle lunghe colonne di carri armati che avanzano nel fango e nel ghiaccio a difesa della Storia. Putin fa poi ricadere sulla coscienza dei bolscevichi e dell’Urss comunista l’inizio della disgregazione dell’Impero, che sarebbe deflagrato dopo il ‘91 con l’indipendenza delle Repubbliche ex sovietiche. Nella sua ottica fu Krusciov, nato ai confini con l’Ucraina, a creare le basi per l’autonomia di Kiev. La Russia vera, forte, unita, è invece quella che negli anni ’30, ricorda Cardini, mandava i soldati per la costruzione del canale intitolato allora a Stalin, che avrebbe collegato il Don al Volga, il Mar Nero al Mar Caspio, un passaggio estremamente importante («Come i Dardanelli, per i quali non a caso scoppiavano le guerre nell’antichità»). Per capire ciò che sta succedendo bisognerebbe sapere, insiste lo storico, che Donbass significa «riva del Don». E se per Sergio Romano la forza di quello «straordinario strumento che era il messaggio comunista» stava nel superamento delle differenze culturali, Putin oggi cerca di riunire, rivolto «al grande territorio eurasiatico in cui non c’è solo la Russia, ma ci sono le comunità russe che hanno messo radici».

 

L’irritazione dei russi

E davanti al ritrovato orgoglio imperiale di Putin che in Ucraina si gioca il futuro politico più che in Siria o Libia, o Georgia e Kazakistan, c’è da chiedersi come si pongono Europa e Usa. «La mossa nel Donbass – spiega Dottori – dimostra l’irritazione dei russi per non esser stati presi sul serio finora, e la volontà di testare la solidità e coesione interna di Ucraina e Nato». Ritirando i consiglieri militari e spostando l’Ambasciata, gli Stati Uniti sembrano già aver abbandonato. «Un giorno capiremo perché». Una Storia ancora da scrivere.
 

 

 

 

Leggi l'articolo completo su
Il Mattino