Renzi, apertura a sorpresa: pronto a fare posto a Gentiloni, Delrio o Minniti

Renzi, apertura a sorpresa: pronto a fare posto a Gentiloni, Delrio o Minniti
Sembrerà scontato, ma l'ultima frontiera di Matteo Renzi torna a essere il... Pd. A cinquanta giorni esatti dalle elezioni, appena terminato il suo discorso sul palco...

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Sembrerà scontato, ma l'ultima frontiera di Matteo Renzi torna a essere il... Pd. A cinquanta giorni esatti dalle elezioni, appena terminato il suo discorso sul palco del Lingotto, il segretario dem parlando con i sindaci guidati da Matteo Ricci è stato netto: «Va bene sostenere la coalizione come ha fatto Gentiloni venerdì. Ma d'ora in poi dobbiamo tutti battere sul tasto del Pd. Il Pd deve diventare la nostra ossessione. Questo perché, alla fine, ciò che conterà davvero sarà quanti voti avrà preso il partito, non la coalizione».


Renzi ai suoi non l'ha detto. Ma l'obiettivo, ça va sans dire, è palazzo Chigi. E al governo il Pd («non Renzi, si gioca di squadra adesso») ci tornerà «solo e soltanto se il 4 marzo risulterà il primo partito». Perché questa sarà, a giudizio del segretario dem, la precondizione per poter sperare che «Gentiloni, Minniti o Delrio» ricevano dal Quirinale l'incarico a formare il nuovo governo.

Attenzione, Renzi non ha inserito il suo nome tra i papabili. Di fatto ha preso atto una volta per tutte che non sarà lui a tornare a palazzo Chigi. «Ciò dimostra», dice un alto esponente del Nazareno, «che la metamorfosi è definitivamente compiuta. Matteo ha ormai chiaro che è l'allenatore della squadra, non il centravanti. In quel ruolo adesso giocano Gentiloni e gli altri ministri di spicco. Il messaggio è chiaro: se sto antipatico a qualcuno, quel qualcuno si ricordi che non deve votare per me, ma per il Pd che ha strappato l'Italia dalla crisi ed è l'unico partito che ora può garantire un futuro al Paese».
 
Questa non è l'unica novità torinese. L'altra, affiorata nel discorso del Lingotto, è l'appello ai moderati. In 53 minuti, Renzi ha detto e ripetuto che la sfida elettorale, la competizione vera, non è tra Cinquestelle e centrodestra. «Ma tra Cinquestelle e Pd»: «L'alternativa ai grillini non sono Berlusconi e Salvini, è il Partito democratico». E questo perché se è vero che la coalizione composta da Forza Italia, Lega e Fratelli d'Italia probabilmente prenderà la maggioranza dei seggi nei collegi maggioritari, è altrettanto vero «che i due-terzi dei parlamentari verranno assegnati con il proporzionale». E nel proporzionale la partita è, appunto, «tra il Pd e i Cinquestelle»: Forza Italia e Lega sono date dai sondaggi una decina di punti percentuali sotto.

Concetti elementari, se si guarda il Rosatellum. Dopo però quasi venticinque anni di maggioritario, Renzi sa bene che «non sarà facile spiegare la novità agli elettori». Da qui l'intenzione del segretario di «lavorare d'ora in poi a testa bassa» per «la promozione del Pd e del suo simbolo». E di spingere quanto più possibile per il voto utile, declinandolo ai tempi del proporzionale come sfida tra Cinquestelle e Partito democratico. Tra «incompetenza» grillina e «competenza e capacità dem».


Puntare sulla vittoria nel proporzionale, non significa per Renzi accettare la sconfitta nei collegi maggioritari. Da qui l'intenzione di schierare nelle aree «più contendibili» alla Lega, a Forza Italia e più in generale alla coalizione di centrodestra, dei candidati con forte radicamento territoriale. Per l'esattezza un manipolo di sindaci di Comuni sotto i 20 mila abitanti (sopra è vietato dalla legge, le dimissioni sarebbero dovute scattare 6 mesi fa). E Matteo Ricci, responsabile degli enti locali, sta già scegliendo i candidati «più incisivi». Qualche nome: Massimo Castelli, sindaco di Cerignale nel Piacentino, Stefano Mazzetti di Sasso Marconi (Bologna), Maria Rosa Barazza vicesindaco di Cappella Maggiore (Conegliano), Alberto Avetta primo cittadino di Cassano Canavese (Torino), Micaela Fanelli, sindaco di Riccia (Molise).
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Il Mattino