Pnrr, fondi europei e vertenze: le tappe cruciali del 2023 per il Sud

Ci sono ancora 23 miliardi di euro da spendere del programma 2020

Il 2023 anno decisivo per i fondi da spendere al Sud
Visto da Sud, il 2023 non dovrebbe essere un anno qualsiasi. Nel senso che tra Pnrr, spesa dei Fondi ordinari europei, incentivi per le imprese da rendere strutturali, vertenze...

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Visto da Sud, il 2023 non dovrebbe essere un anno qualsiasi. Nel senso che tra Pnrr, spesa dei Fondi ordinari europei, incentivi per le imprese da rendere strutturali, vertenze industriali da “dentro o fuori”, autonomia differenziata delle Regioni e stretta sul Reddito di cittadinanza sarà difficile che l’anno passi sottotraccia, in un modo o nell’altro. 

 

Il Pnrr

Il 2023 sarà decisivo per l’apertura di una serie di cantieri di grandi e piccole opere pubbliche anche al Sud. Le grandi infrastrutture ferroviarie, ad esempio, con l’inizio dei lavori dei lotti appena messi a gara della Salerno-Reggio Calabria e della Palermo-Messina-Catania. O con lo sprint decisivo per il completamento della Napoli-Bari che secondo alcune previsioni (probabilmente un po’ generose) potrebbe essere molto vicino alla meta se non ci saranno intoppi nella costruzione della galleria Hirpinia di 27 km, già iniziata. Ma il Pnrr e la sua tempistica molto serrata imporranno marce forzate a Comuni e Regioni che si sono viste approvare in questi mesi i rispettivi progetti. L’elenco è lunghissimo, si va dai nuovi impianti di trattamento dei rifiuti (dal Sud il 52% delle richieste) all’utilizzo di beni confiscati, dal riassetto idrogeologico a interventi di riqualificazione urbana. Su tutti resta l’incognita della capacità di spesa degli enti locali meridionali, la madre di tutte le sfide per ridurre il divario.

 

I fondi Ue

Nel 2023 scadrà l’ultimo dei tre anni di “proroga” abitualmente concessi dall’Ue per consentire la spesa dei Fondi strutturali europei (in questo caso parliamo del ciclo di programmazione 2014-2020). Si annuncia, come ormai da abitudine, l’ennesima corsa contro il tempo anche se Bruxelles, per evitare i famigerati “progetti sponda” ha snellito molto le procedure per la certificazione della spesa, l’unico dato che fa fede. All’appello mancherebbero ancora circa 30 miliardi da spendere entro fine 2023, di cui almeno il 75% al Sud: ma il condizionale è d’obbligo considerato che finora sono stati rispettati per quasi tutti i Programmi nazionali e regionali le scadenze sui target di spesa concordati con l’Ue (a fine 2021 l’Italia non aveva comunque superato il 50% delle risorse complessive assegnate nel 2014). Puglia e Campania si confermano le Regioni meridionali con la più alta capacità di spesa del Fesr, il Fondo per lo sviluppo regionale che rimane il più gettonato. Basilicata e Calabria le più indietro. Il ministro Fitto ha già annunciato che il 10% delle risorse non spese verrà destinato a fronteggiare l’emergenza energetica.

 

Le vertenze

Dall’ormai ex Whirlpool all’ex Ilva, da Napoli a Taranto: per due delle vertenze più simboliche dell’apparato industriale del Mezzogiorno i nodi sembrano essere definitivamente arrivati al pettine. La cessione dello stabilimento di via Argine alla Zes dovrebbe finalmente sbloccare il processo di reindustrializzazione del sito, rimasto da mesi impantanato in una serie di passaggi burocratici e di palleggiamenti di responsabilità a volte persino incomprensibili. Tocca ora alla Zes lanciare il bando per la nuova acquisizione e conoscendo la competenza e la concretezza del Commissario di governo Giosy Romano è facile prevedere tempi rapidi. Di sicuro la possibilità di riassorbire almeno una buona parte dei circa 300 lavoratori si fa più concreta. Ma il nuovo anno dovrebbe segnare la svolta anche nel futuro dell’ex Ilva: l’ipotesi di accelerare la nazionalizzazione del colosso dell’acciaio è sul tappeto e trova governo, enti locali e sindacati d’accordo ma non si prevede un percorso in discesa, con le aziende dell’indotto in apnea. E lo stesso vale per altre vertenze industriali, dalla Jabil di Marcianise (a fine gennaio si tornerà a discutere dei licenziamenti solo congelati) alla Bluetec di Termini Imerese in Sicilia (gli ex Fiat), passando per la Dema in Campania e le tante pmi che cercano di resistere all’impennata dei costi energetici.

 

Decontribuzione Sud

Il governo si è impegnato attraverso la stessa premier Meloni a rendere strutturale la misura appena prorogata di 12 mesi che aiuta le imprese a ridurre i costi fiscali rafforzando la posizione del personale. L’idea è di agganciare la misura ad un percorso indipendente dalla sospensione Ue del divieto sugli aiuti di Stato che finora ne ha permesso l’attuazione, prima in base all’emergenza Covid e poi per la guerra in Ucraina. Ne beneficerebbero gli oltre 1 milione e mezzo di lavoratori che con la fiscalità di vantaggio hanno potuto contribuire alla permanenza sul mercato delle loro aziende.

 

L’occupazione

Gli incentivi garantiti dal governo attraverso la Legge di Bilancio alle imprese (crediti d’imposta per gli investimenti nelle Zes, per l‘acquisto di macchinari e per gli interventi in ricerca e sviluppo) dovrebbero incoraggiare le assunzioni. Ma molto dipenderà dalla crescita complessiva del Paese che nel 2023 rischia di essere molto inferiore a quella di quest’anno, con il Mezzogiorno addirittura in negativo rispetto alle altre macroaree. La spinta dell’edilizia e del turismo, che ha prodotto risultati importanti nel Sud (anche se i nuovi contratti di lavoro sono stati per la massima parte a tempo determinato) potrà al massimo, se confermata, evitare il salto all’indietro ma non ridurre la distanza che da oltre 20 anni continua a sdoppiare l’Italia, con il Mezzogiorno che resta stabilmente indietro di almeno 20 punti rispetto alla media degli occupati nel Settentrione. Con le donne che non superano il 44%. La formazione e la crescita delle competenze attraverso gli ITS può essere una risposta importante: se passasse invano anche il 2023 non basterebbe nemmeno il Pnrr a impedire di riallargare il divario con il Nord. 

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Il Mattino