Trasfusione di sangue infetto, il risarcimento arriva dopo 46 anni

L'avvocato Renato Mattarelli
Sarà risarcita 46 anni dopo la trasfusione una donna di Latina. La sentenza   del Tribunale di Roma è di oggi e  condanna il Ministero della Salute...

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Sarà risarcita 46 anni dopo la trasfusione una donna di Latina. La sentenza   del Tribunale di Roma è di oggi e  condanna il Ministero della Salute per mancata vigilanza e controlli delle trasfusioni di sangue somministrate nel 1970 presso l'ospedale Santa Maria Goretti a una donna   risultata positiva al virus dell'epatite C solo nel 2009


Il risarcimento riconosciuto dopo 46 anni è di 101.000 euro ma con interessi e rivalutazione corrisponde a 120.000 euro circa.

Nel 1970 alla donna, che all'epoca era una giovane ragazza di 25 anni, vennero trasfuse alcune sacche di sangue, accertate come infette durante il processo iniziato nel 2012. 

Nonostante il lungo lasso di tempo trascorso dalle trasfusioni del 1970 all'inizio della causa del 2012, il Tribunale ha accolto la tesi dell'avvocato Renato Mattarelli - che ha assistito la donna - secondo cui, per provare la relazione causale fra le trasfusioni al Goretti degli anni '70 e il contagio del virus, non è necessaria la prova certa che i donatori siano stati rintracciati e trovati positivi all'epatite C. Secondo l'avvocato   è invece "sufficiente un grado di probabilità pari al 50% allorquando non sussiste la prova che il contagiato   abbia avuto comportamenti a rischio di infezione epatica come ad esempio: promiscuità sessuale, terapia dialitica, interventi chirurgici, omosessualità, body piercing, tatuaggi"

Nella sentenza il giudice ha infatti affermato che il consulente medico nominato dal tribunale   «ha poi evidenziato che “nel caso in esame non sono emersi elementi anamnestici o comportamentali  che possano ricondurre l’infezione epatitica a causa diversa dall’emotrasfusione».


La donna    «per assistenza al parto in una gravidanza a termine senza menzione di rischi superiori allo standard, fu sottoposta a due trasfusioni» delle quali, quindi, neanche c'era bisogno. Le trasfusioni, fra l'altro, si legge nella sentenza «avvennero .senza che peraltro fossero esplicitate le ragioni  di tale decisione nella cartella clinica in atti». La sentenza sarà appellata perché l'avvocato ritiene il risarcimento « molto più basso rispetto il grave danno alla salute emerso in corso di causa e dalla consulenza medica legale che ha riconosciuto un' invalidità permanente del 50% da cui però il tribunale si è discostato e diminuito».  Leggi l'articolo completo su
Il Mattino