WASHINGTON DC - Il Museo Nazionale di Storia e Cultura Afro-Americana non è soltanto un museo: è un viaggio negli occhi di milioni di persone, è un sentiero...
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Il progetto
Un sogno lungo 100 anni e più. Un sogno che era rimasto tale fino al 24 settembre scorso, giorno in cui le parole di Barack Obama hanno spalancato le porte di una storia mai così vicina, mai così a portata di mano.
Un progetto realizzato, come spesso accade negli Stati Uniti, grazie all’iniziativa di pochi che, attraverso il loro attivismo e le loro fondazioni, sono riusciti ad incastrare alla perfezione i tanti tasselli di questo straordinario capolavoro. Su tutti gli altri, emerge il nome di Oprah Winfrey. La popolare conduttrice statunitense, a queste latitudini vera e propria leggenda della televisione ma anche della filantropia, infatti, ha contribuito attraverso la sua fondazione con un assegno da 21 milioni di dollari. Fondamentale, evidentemente, anche l’impulso dell’oramai ex-inquilino della Casa Bianca che non si è limitato soltanto a metterci la faccia in occasione dell’apertura, ma che ha contribuito in maniera decisiva ad assegnare alla Comunità afro-americana lo spazio nel cuore del National Mall dove ha preso poi forma l’architettura impossibile del museo. Un dettaglio non di poco conto visto che escludere eventualmente questo progetto da quella che è l’area istituzionale più prestigiosa di Washington D.C., non a caso sede di tutti gli altri grandi musei e monumenti, avrebbe rappresentato un’ulteriore forma di discriminazione nei confronti di un tema già di per sé così delicato e complesso. E invece, eccolo lì. Colossale meraviglia di intagli color rame ad una manciata di passi da quell’obelisco attorno al quale, il 28 agosto del ’63, 200mila e più persone si radunarono per ascoltare quel “I have a dream” di Martin Luther King che fece la Storia.
Le atmosfere, i volti
5 piani, di cui uno sotto terra, pieni zeppi di volti. E 120mila metri quadrati di storie, di nomi e di cognomi.
Si parte dal basso, da un passato, atroce, non così lontano. Si scalano i diversi livelli fino al quarto, fino ai Grandi del nostro presente più significativo. E così, vi ritroverete a riflettere impietriti dinanzi ad un vecchio collare di metallo per bambini schiavi o ad un cappuccio di seta bianca firmato Klu Klux Klan. Terrificante, ma indispensabile. Vi capiterà di ritrovarvi occhi negli occhi con Lincoln, ascolterete le parole del sogno di Martin Luther King, saltellerete su un ring al fianco di Muhammad Ali. Lungo un sentiero di radici che sanguinano ancora, ripercorrerete il cammino difficile di una bandiera a stelle e strisce che ne ha viste tante, troppe. Ma che, proprio grazie a donne e uomini come James Brown, Aretha Franklin, Arthur Ashe, Carl Lewis, Michael Jordan e Barack e Michelle Obama, ha saputo fronteggiare se stessa. Milioni e milioni di protagonisti, più o meno noti, di un’America che, senza questi ricordi, senza questo strascico di dolore, non avrebbe mai potuto essere l’America che conosciamo oggi.
E invece è proprio lei, l’America. Nonostante tanto, nonostante tutto. Grazie a ciascuno di loro.
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Il Mattino