Gaspare dagli Occhiali, il pittore eccentrico che diventò Vanvitelli

Gaspare dagli Occhiali, il pittore eccentrico che diventò Vanvitelli
«Il tempo ristabilisce i valori, e mentre la fama di Luigi, com'è giusto, rimane inalterata, quella del padre rinverdisce» (Gino Doria) ...

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«Il tempo ristabilisce i valori, e mentre la fama di Luigi, com'è giusto, rimane inalterata, quella del padre rinverdisce» (Gino Doria)


Lo chiamavano Gaspare degli Occhiali, perché aveva l'abitudine di nascondere il volto dietro enormi e improbabili lenti, per scrutare meglio uomini e cose, ma il suo vero nome era Gaspar van Wittel. Si aggirava furtivo nella Napoli dei viceré spagnoli e di mestiere faceva il pittore: i suoi dipinti sono un teatro della memoria, un archivio visivo della città che, nei primissimi anni del 700, si prestava a cambiare per l'ennesima volta dominazione e faccia, come era già accaduto più volte in passato e altre volte sarebbe accaduto negli anni a venire. A Caspar van Wittel, pittore olandese naturalizzato italiano, dobbiamo alcune delle più straordinarie vedute della Napoli di quel periodo: dal 1699 al 1702 fu chiamato dal viceré spagnolo Luis Francisco de la Cerda, duca di Medinaceli, per lavorare nel cantiere del Palazzo Reale. E proprio in onore del duca di Medinaceli, al quale era legatissimo, questo eccentrico e occhialuto vedutista da tutti chiamato Gaspare degli Occhiali, decise di chiamare suo figlio Luigi. Quel Luigi che in seguito diventerà noto - certamente più noto del padre - con il nome italianizzato di Luigi Vanvitelli.

Al primo piano delle Gallerie d'Italia, il nuovo spazio espositivo affacciato su via Toledo, a catturare l'attenzione dei visitatori non è soltanto il Martirio di Sant'Orsola, capolavoro di Caravaggio e pezzo da novanta del patrimonio storico-artistico di Intesa San Paolo, ma anche i sei dipinti di Caspar van Wittel, considerato uno dei padri del vedutismo moderno. Una tela, in particolare, ci restituisce l'incanto un po' affastellato della Napoli dei primi decenni del Settecento. Si chiama Veduta di Napoli con il borgo di Chiaia da Pizzofalcone ed è uno straordinario punto di osservazione per studiare le differenze tra la Napoli di ieri e quella di oggi, ammirando lo sviluppo urbanistico e architettonico della città. Gaspare degli Occhiali lo realizzò nel 1729, durante quel lungo interregno tra il vicereame spagnolo e l'avvento al trono di Carlo di Borbone che sarebbe passato alla storia come periodo austriaco. Una strepitosa cartolina da Napoli che esalta luci e colori di un paesaggio mozzafiato.

In primo piano, al centro del dipinto, c'è la seicentesca chiesa di Santa Maria a Cappella Nuova, demolita agli inizi dell'800 (quindi una settantina d'anni dopo la realizzazione del dipinto) perché fortemente danneggiata da un terremoto. Si chiamava Cappella Nuova perché sorgeva a poca distanza dall'antica chiesa di Cappella Vecchia, dedicata alla Vergine Maria, poi trasformata in abbazia e in casa dei monaci basiliani e infine soppressa per far posto a Palazzo Sessa: dell'antica chiesa, nella cui area sorge ora una palestra, sopravvivono alcune vestigia e numerosi stucchi. Ma continuiamo a scorrere il dipinto di Van Wittel. Più a destra ecco la chiesa di Santa Caterina a Chiaia, sorta sul finire del 500 e più volte ampliata e modificata nella struttura, fino ad assumere la forma attuale. Il nucleo più denso della Chiaia di allora sorgeva nell'area della chiesa dell'Ascensione. Ed ecco la maestosa mole di Palazzo Cellammare, in via Chiaia, riconoscibile per il suo enorme parco, le arcate all'ingresso e la rampa che conduce alla strada.


Gaspare degli Occhiali era nato ad Amensvoort, presso Utrecht, nel 1653, e non non ancora ventenne si era trasferito a Roma, per coltivare le sue grandi passioni: disegnare e dipingere. Italianizzò il cognome (da Van Wittel a Vanvitelli) come supremo gesto d'amore nei confronti della terra che lo aveva adottato. Generò un figlio illustre, la cui fama oscurò quella del padre: Luigi, il grande architetto della Reggia di Caserta.

Era dunque la Napoli degli ultimi viceré quella che Gaspare degli Occhiali batteva palmo a palmo a caccia di scorci e vedute da immortalare per i posteri. A Caspar Van Wittel dobbiamo una delle rappresentazioni più vivide e minuziose del Largo di Palazzo, l'attuale piazza del Plebiscito, ribattezzato così dopo la costruzione del Palazzo Vicereale (voluto da don Pedro de Toledo nell'area dell'odierna piazza Trieste e Trento, fu poi abbattuto nel 1837) e del Palazzo Reale, fulcro del potere monarchico a Napoli, la cui impronta risale agli inizi del 600 ad opera dell'archistar Domenico Fontana. La Veduta di Napoli con Largo di Palazzo, probabilmente il dipinto più rappresentativo di Van Wittel, anch'esso custodito nelle Gallerie d'Italia di via Toledo, raffigura quel tratto di città che si poteva vedere dalla rampa che collegava Santa Lucia al Largo di Palazzo.

«L'ora è felice: da levante il sole, non ancora alto, mantiene nell'ombra al facciate del palazzo... mentre illumina in pieno l'opposto lato, con la successione di chiese e conventi. La brezza del mare agita le tende della facciata meridionale della Reggia, e per quella piacevole frescura già il largo s'è andato popolando di quei gentiluomini, e popolani, e frati...» (Gino Doria, Il Largo di Palazzo a Napoli)

Due frati incrociano uno scamiciato venditore ambulante. Un mendicante tende inutilmente la mano a un gentiluomo vestito di nero. Un altro gentiluomo viene colto nell'attimo in cui sceglie di urinare proprio sulla facciata del palazzo del vicerè! E poi frati, soldati, cani e colombe: quanti dettagli tra la variopinta folla catturata dallo sguardo di Gaspare degli Occhiali. All'angolo meridionale della Reggia, ecco la Fontana dell'Immacolata, che verrà poi sistemata sul Lungomare, di fronte all'Excelsior. Il Forte di San Pietro e la certosa di San Martino dominano invece la scena dall'alto. Ai loro piedi - dove oggi è il corso Vittorio Emanuele - una sequenza di edifici sacri: la chiesa di Santa Maria Apparente, poi il grande fabbricato del monastero delle sepolte vive eretto, dopo la peste del 1656, dalla tenace e mistica suor Orsola Benincasa, e il convento di Santa Lucia al Monte. Tutti luoghi che hanno resistitito, per loro e nostra fortuna, alle successive trasformazioni urbanistiche della città. Nel lato occidentale del Largo di Palazzo, l'attuale piazza Plebiscito, lo sguardo e il pennello di Van Wittel si posano invece su quelli che possiamo considerare luoghi della memoria: il convento della Trinità, il convento di San Luigi, l'ingresso della chiesetta di San Marco e la chiesa-monastero di Santo Spirito.

Una cittadella monastica oggi scomparsa: Ferdinando I delle Due Sicilie, appena ripreso possesso del trono dopo la Restaurazione, decise di edificare proprio in quell'area un nuovo e grandioso luogo di culto, la monumentale basilica di San Francesco di Paola. Ma Ferdinando non aveva fatto altro che portare a termine - certo, mettendoci molto di suo - l'opera iniziata da un altro Re, Gioacchino Murat, sul trono di Napoli dal 1808 al 1815. Era stato il megalomane Murat a decidere di sistemare in modo definitivo lo spazio posto di fronte alla reggia, ordinando la costruzione di un colonnato e di un Foro che avrebbe dovuto portare il suo nome, Foro Murat, e celebrare il suo regno.
 

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Il Mattino