Lo scoglio del Mago, quel mito che resiste allo scempio di Posillipo

Lo scoglio del Mago, quel mito che resiste allo scempio di Posillipo
«Uomo libero, amerai sempre il mare!/Il mare è il tuo specchio: contempli la tua anima/nell'infinito muoversi della sua lama/E il tuo spirito non è un...

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«Uomo libero, amerai sempre il mare!/Il mare è il tuo specchio: contempli la tua anima/nell'infinito muoversi della sua lama/E il tuo spirito non è un abisso meno amaro»

(Charles Baudelaire)

* * *

Per godere della bellezza di Posillipo oggi bisogna affidarsi al mito. Anni di disamministrazione e di mancata cura del territorio - anni di scempio: non sapremmo definirli diversamente - hanno provocato a Posillipo gli stessi effetti di uno tsunami. Pini abbattuti, strade sventrate, belvedere sfregiato. Intere zone del promontorio ridotte a percorso di guerra. Un crimine contro i cittadini di quel quartiere - basta percorrere ciò che resta di via Tito Lucrezio Caro per rendersene conto - e contro tutti i napoletani.

Perciò - fatti salvi lo sdegno e la denuncia civile: qualcuno salvi Posillipo! - chi volesse respirare oggi la vera atmosfera della «collina che placa il dolore» deve ricorrere al mito. Perché a Posillipo, più che altrove, il mito non è mai lontano dal reale, ma è un respiro lontano e potente che arriva dal passato.

Se Posillipo è terra di miti, la porta d'ingresso nel mito è un luogo ancora oggi poco conosciuto dai napoletani. Un luogo della memoria che abbiamo il dovere di preservare: i ruderi di un'antica «fabbrica romana» conosciuti come Scoglio di Virgilio, nella punta più estrema del promontorio, tra gli isolotti della Gaiola e la baia di Trentaremi, addossati al costone roccioso su cui si erge il parco della Rimembranza.

Qui - ecco il respiro potente e lontano del mito - il grande poeta latino insegnava le arti magiche ai suoi discepoli, lasciandoli a bocca aperta. La «Scuola di Virgilio» era un vasto edificio a pianta quadrata che si apriva a oriente verso Napoli. Quei resti, di cui è rimasta memoria grazie alle innumerevoli stampe che la raffigurano com'era nell'Ottocento, sono oggi quasi irriconoscibili per il lavoro lento e tenace del mare.

* * *

Questo tratto di costa, a partire dal I secolo a.C., fu densamente abitato, come ci testimoniano oggi i numerosi resti di epoca romana osservabili lungo la costa sopra e sotto la superficie del mare. Dei ruderi di «fabbriche romane» esistenti tra Marechiaro e la Gaiola parlò già, nel 1535, Benedetto di Falco, che Croce definì «il primo descrittore di Napoli». Prima di lui, Seneca e Svetonio scrissero della grande dimora di Pausilypon (poi ceduta ad Augusto e divenuta imperiale) dove il cavaliere romano Vedio Pollione, il feroce padrone di casa, nutriva le murene e dava in pasto ad esse, quando gli girava la luna storta, i suoi servitori più maldestri.

Non sono insomma pietre qualunque quelle che periodicamente rischiano di franare - più o meno nel disinteresse di tutti, con l'eccezione dei volontari dell'area marina protetta Parco della Gaiola - da Trentaremi a Nisida, da Coroglio a Punta Cavallo, nel punto più estremo del promontorio di Posillipo, quello che degrada verso il mare di Trentaremi. Tra queste spettacolari «pietre» ecco i resti dello «Scoglio di Virgilio», un antico ninfeo tra la terraferma e le grandi falesie a strapiombo sul mare.

Nella civiltà greco-romana con ninfeo si indicavano dei «luoghi d'acque», ossia strutture presentanti vasche e piante acquatiche presso i quali era possibile sostare, imbandire banchetti e trascorrere momenti di otium.
Uno degli studi archeologici più completi tra quelli effettuati nell'area è ancora oggi quello di R.T. Günther, autore del saggio «Pausilypon, The imperial villa near Naples», pubblicato ad Oxford nel 1913. Grazie a Gunther, non solo vennero eseguiti per la prima volta il rilievo e la mappatura delle strutture archeologiche sommerse lungo la costa ma, sulla base di tali rilievi, venne anche effettuata una stima della variazione relativa del livello del mare. «Abbiamo potuto farci un'idea - scrisse questo esploratore urbano innamorato pazzo di Napoli - del gusto della decorazione attraverso il frammento di una mattonella di terracotta, non più grande di un pollice, che raccogliemmo sul posto e che conserviamo. Era, probabilmente, parte di un fregio e riproduce, in leggero rilievo, un esile tralcio di caprifoglio intrecciato con un nastro. I residui di stucco, sopra uno dei muri, rappresentano spighe di grano verdi e gialli e contro uno sfondo nero».

* * *

I discepoli, per ascoltarlo, arrivavano da ogni parte di Napoli e dei Campi Flegrei. Spesso il Maestro li radunava nel grande teatro di Vedio Pollione, con i suoi tredici ordini di sedili nella cavea, costruito secondo la tecnica tipica dei teatri greci, sfruttando il declivio naturale della collina. Altre volte li convocava in riva al mare, davanti alle grotte che un giorno avrebbero preso il suo nome. Raccontava loro degli enormi rettili che vivevano nel sottosuolo di Napoli, che si nutrivano di vecchi, di donne e bambini. E di come li avesse affrontati e annientati. Raccontava della schiera di demoni al suo servizio e di come, con il loro aiuto, avesse prosciugato paludi pestifere e maleodoranti. Spesso in prima fila, ad assistere a quelle «lezioni», v'era anche il nipote di Augusto, il giovane Marco Claudio Marcello, che Virgilio celebrò nel VI libro dell'Eneide.

L'uomo che i discepoli chiamavano Maestro il grande poeta Publio Virgilio Marone - era di corporatura robusta; la sua voce, però, era sottile e screziata e, come un canto, ammaliava i discepoli addossati alle pareti della Grotta. Spesso i discepoli attaccavano a cantare e Virgilio taceva per ascoltarli. Possiamo immaginarlo, nell'indolenza di quei tramonti a picco sul mare, mentre osservava il paesaggio straordinario del Golfo, la valle florida e verdeggiante, le immense caverne. O mentre posava lo sguardo sulla piccola isola che si ergeva di fronte alla baia. Euplea: erano stati i pescatori a darle quel nome. Euplea come Venere, protettrice dei naviganti, che quando scorgevano l'isola sapevano di essere tornati a casa.

Vincitore del serpente
Arciere del comando
Masticatore di alloro
Il canto dei discepoli cresceva d'intensità, diventava un fiume. Il Maestro faceva un cenno per far tacere quel canto, e recitava una formula.
Era una strana formula, era la formula dell'Arcadia.
Anche se Pan gareggiasse con me, a giudizio di Arcadia
persino Pan si dichiarerebbe vinto, a giudizio di Arcadia
Ed egli riceverà la vita dagli Dei, egli vedrà gli eroi misti agli Dei, ed egli stesso apparirà ad essi...

* * *

Nella descrizione di Posillipo la componente mitologica assume un aspetto centrale. Il racconto mitologico precede la descrizione storica ed archeologica, integrandola.

Perché il mito di Virgilio è così fortemente radicato a Posillipo? Innanzitutto perché l'autore dell'Eneide, come l'imperatore Augusto, frequentava la splendida villa sul mare di Vedio Pollione, il cui sfarzo era paragonabile solo a quello della Villa di Lucullo, costruita nell'area tra Pizzofalcone e Megaride. Virgilio, inoltre, compose in una dimora di Posillipo le «Georgiche», come egli stesso ricorda alla fine del poema. La sua Scuola sorgeva in prossimità della Gaiola, che prende il nome dal latino Caveola proprio per le numerose grotte che vi si trovano.

Sono ancora molti, in quest'area, i tesori del passato da riportare alla luce, come sanno bene gli archeologi impegnati da anni nella ricognizione dei fondali. Poche decine di metri, invece, separano la terraferma (e l'antica dimora imperiale) alle piccole isole della Gaiola, un tempo collegate da un arco di roccia e ancora oggi divise da una fenditura su cui si protende un ponticello di ferro. Qui sorgeva in passato un tempio dedicato ad Afrodite Euplea, protettrice dei naviganti che doppiavano il Capo di Posillipo. Un angolo di paradiso che i cristiani avrebbero profanato, scatenando l'ira della stessa dea, che da allora vieterebbe agli uomini un'esistenza tranquilla. 

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Il Mattino