Droga market al carcere di Salerno, pestaggi ed aggressioni: «Quello devo ucciderlo»

Violenze e minacce per chi non pagava o rifiutava di ricevere i pacchi con la roba. Ayari il picchiatore, il riconoscimento di Papacchione

Il blitz in carcere
«Lo devo picchiare, il figlio di Danilo D’Alterio mi deve dare duemila euro. Lo ammazzo: non scendono più al passeggio, lui e il cognato li devo ammazzare tutti...

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«Lo devo picchiare, il figlio di Danilo D’Alterio mi deve dare duemila euro. Lo ammazzo: non scendono più al passeggio, lui e il cognato li devo ammazzare tutti quanti, li devo uccidere». È un dialogo tra Emanuele Di Biase, ritenuto dagli inquirenti al vertice dell’associazione criminale finalizzata allo spaccio dietro le sbarre del carcere di Fuorni, e l’ex detenuto Carmine Moccaldi, a rivelare uno dei retroscena più inquietanti dell’inchiesta che ha svelato un vero e proprio droga market a Fuorni: chiunque non obbediva alla regole del gruppo era sottoposto a punizioni esemplari. Il gip, nell’ordinanza di custodia cautelare, illustra il “modus operandi” del gruppo degli “ebolitani” - «capace di indurre in uno stato di assoggettamento i detenuti debitori, talvolta anche attraverso vere e proprie spedizioni punitive».

Sono tanti i pestaggi ricostruiti dagli inquirenti, attraverso le intercettazioni e le dichiarazioni dei detenuti coinvolti nell’inchiesta, che mostrano l’assenza di qualsiasi tipo di scrupolo da parte del clan pronto a punire non solo chi non riusciva a saldare i debiti ma anche chiunque non volesse collaborare nell’attività di spaccio all’interno del carcere. Il gip, nell’ordinanza di custodia cautelare, fa riferimento a un vero e proprio «stato di assoggettamento e timore cui dovevano sottostare i detenuti individuati dai capi del gruppo criminale quali destinatari dei pacchi contenenti sostanze stupefacenti». Sono le dichiarazioni rese da uno dei detenuti vittime del clan, confermate nel prosieguo delle indagini, a rivelare che «alcuni detenuti venivano sottoposti a vere e proprie minacce o aggressioni fisiche da parte del gruppo di comando e dai sodali nell’ipotesi in cui si fossero rifiutati di prestarsi ad essere utilizzati come destinatari dei pacchi in cui era occultata droga». È il 5 novembre 2021: il detenuto è destinatario prima di intimidazioni verbali da parte degli “ebolitani” e, successivamente, di una violenta aggressione fisica consumatasi nella sua camera detentiva, la numero 2 del secondo piano B del primo reparto. 

È poi l’indagato Francesco Martinelli a rivelare di aver contratto un debito dal “tunisino”, che si riforniva dagli ebolitani, dell’ammontare di 100mila euro. La restituzione della somma fu oggetto di pretesa da parte degli “ebolitani”. Le indagini chiariscono le dinamiche dell’indebitamento tipiche del clan: alcuni detenuti acquistavano droga dal gruppo degli ebolitani e, successivamente, dopo averla ceduta ad altri detenuti, si procuravano la provvista necessaria per restituire le somme e, eventualmente, per conseguire un guadagno. Se non saldavano il debito, subivano i pestaggi. Ayarl Ahmza è uno dei picchiatori del gruppo, «soggetto rispettato da tutti i detenuti presenti in sezione, sia di origine straniera che italiana». Il calibro criminale dell’indagato si deduce anche dai suoi rapporti con esponenti della criminalità organizzata salernitana, primo tra tutti, Giuseppe Stellato, alias “Papacchione” che, dall’esterno, invitava il detenuto ad aggregarsi, una volta libero, al suo gruppo criminale. 

L’accordo tra i due è svelato da un’intercettazione dell’11 agosto 2021. «Qualsiasi cosa, a disposizione, hai capito? Non ti preoccupare appena che esci vieni da me non ti preoccupare». Secondo gli inquirenti, in quella conversazione Stellato conferma la sua disponibilità ad accogliere nel suo gruppo criminale il detenuto Ayari. Gratificato delle parole del padre, Ayari si metterà a disposizione del figlio Domenico Stellato pianificando, per suo conto, l’introduzione di sostanza stupefacente all’interno del carcere. Le indagini degli inquirenti hanno comunque ricostruito i ruoli di tutti gli indagati all’interno del clan. Vertice e capi indiscussi erano i detenuti Emanuele Di Biase, Massimo Petrillo e Vincenzo Spinelli, conosciuti come “gli ebolitani”, capi - promotori del sodalizio criminale. Il ruolo apicale degli ebolitani si fondava su un pilastro fondamentale: la gestione dei traffici illeciti nell’ambito della Casa Circondariale di Salerno era consentita soltanto se posta in essere sulla base delle direttive del gruppo di comando, oppure previa autorizzazione dello stesso.

 

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Il Mattino