Sarno, giro di spaccio scoperto dopo la denuncia di una madre: processo da rifare per un pusher

Gli spacciatori utilizzavano un linguaggio criptico: così la droga diventava «mozzarella» o «caffè»

Processo da rifare per un pusher
Dovrà essere nuovamente celebrato il processo a carico di un uomo di Sarno, finito in un blitz antidroga scoperto grazie alla denuncia della madre di uno degli assuntori di...

OFFERTA SPECIALE

2 ANNI
99,98€
40€
Per 2 anni
SCEGLI ORA
OFFERTA FLASH
ANNUALE
49,99€
19€
Per 1 anno
SCEGLI ORA
 
MENSILE
4,99€
1€ AL MESE
Per 3 mesi
SCEGLI ORA

OFFERTA SPECIALE

OFFERTA SPECIALE
MENSILE
4,99€
1€ AL MESE
Per 3 mesi
SCEGLI ORA
 
ANNUALE
49,99€
11,99€
Per 1 anno
SCEGLI ORA
2 ANNI
99,98€
29€
Per 2 anni
SCEGLI ORA
OFFERTA SPECIALE

Tutto il sito - Mese

6,99€ 1 € al mese x 12 mesi

Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese

oppure
1€ al mese per 3 mesi

Tutto il sito - Anno

79,99€ 9,99 € per 1 anno

Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno

Dovrà essere nuovamente celebrato il processo a carico di un uomo di Sarno, finito in un blitz antidroga scoperto grazie alla denuncia della madre di uno degli assuntori di stupefacenti. Per il 39enne, già condannato a sei anni in Corte d'appello, la Cassazione ha disposto la rinnovazione del giudizio. I giudici hanno accolto il ricorso della difesa, che lamentava una pena eccessiva poiché il Tribunale non aveva tenuto conto di una serie di diminuzioni della pena per i riti scelti nel primo grado di giudizio, come l’abbreviato.

«All'accoglimento del ricorso segue l'annullamento del provvedimento impugnato con rinvio alla medesima Corte d'appello, diversamente composta, per nuovo esame, in ossequio al principio di diritto affermato», si legge nelle motivazioni. 

Il gruppo con dentro il 39enne fu smantellato dai carabinieri di Sarno, che individuarono una serie di persone che spacciavano senza farsi concorrenza, rifornendosi nell’area vesuviana e poi smistando il tutto sul territorio sarnese. Fu la mamma di uno degli assuntori a contribuire alle indagini. La donna riferì informazioni ai carabinieri sulla persona che riforniva di droga il figlio. Da lì, gli investigatori aprirono uno squarcio sui sei gruppi impegnati a maneggiare cocaina. Tra di loro non vi era concorrenza: se la droga non era nelle disponibilità del primo, subentrava il secondo.

Lo spaccio avveniva presso ogni luogo, non solo dalle case di alcuni degli imputati (due erano ai domiciliari ma ricevevano puntualmente i loro acquirenti) ma anche presso una villa. Per comunicare tra loro, il linguaggio utilizzato era criptico, per evitare i controlli delle forze dell’ordine. Così la droga diventava «mozzarella» o «caffè».

 

Leggi l'articolo completo su
Il Mattino