I ricordi di don Luigi, il guardiano dell'edicola di via Aniello Falcone

I ricordi di don Luigi, il guardiano dell'edicola di via Aniello Falcone
Don Luigi, il suo posto al sole, a via Aniello Falcone, quasi angolo Calata San Francesco, come si raccomanda nella toponomastica dei radiotaxi, se lo è preparato anche...

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Don Luigi, il suo posto al sole, a via Aniello Falcone, quasi angolo Calata San Francesco, come si raccomanda nella toponomastica dei radiotaxi, se lo è preparato anche stamattina. Di buon mattino, a fianco dell'edicola superstite per antonomasia, da una vita di «Mattino», prima che esordissero le edizioni locali dei giornali nazionali, in quello spazio largo del marciapiede, don Luigi Castaldi, 85 anni e passa, anzi spassa, il fisico asciutto di chi non dà confidenza all'abuso, si è ben disposto ancora lì.

 
Una sdraio non moderna, un «Panama» di paglia écru per proteggersi dall'incedere rovente di luglio, i pantaloni corti, una pipa di radica con il tabacco Skandinavian appena misturato... Don Luigi è lì, il carisma di uno scrutatore di una Napoli che ha amato tanto e che - come noi - non riconosce più.

Lui, il testimone, non il testimonial, di una via Aniello Falcone che era succursale elegante, da carrozze, del Vomero Vecchio, ed il suo garbato amarcord. Lui, un trascorso da giardiniere e floricoltore, vedovo di donna Carmela Pastore, e cognato di don Salvatore. Lui ed il suo gesto con le mani ampio a tracciare un mappamondo alla napoletana, «era tutto verde qui, vi ricordate quello che teneva la pollicoltura qui sotto?», sotto i giardinetti dedicati a Nino Taranto, sul marciapiede opposto al baretto dell'antico Antonio Simeone.

Don Luigi è lì, non esce il mattino senza di lui, lontano dal mare, con la sua virile asciutta abbronzatura da guardiano del faro, da genius loci, a raccogliere i saluti degli amici passanti, dei passanti amici: Ciro il giornalaio, Franco il genero, don Carmine, Augusto, Oreste, Diego, l'ingegnere, l'avvocato Belmonte, non c'è più Eduardo Ponsiglione, «e il professore Pomilio, ve lo ricordate ?». Ed è il suo dettato, la lezione di una villeggiatura breve, due, tre ore al giorno di mattina, a cento metri da casa.

Quel suo posto privato, dove i vigili urbani del pomeriggio non oseranno contestargli una occupazione di suolo pubblico, una usucapione per diritto di cuore. «Che volete, una vita qui, lo sapete che portavo il latte a casa vostra, io, negli anni 50 ?». E questo forse lo sapevamo, noi che il latte peraltro non lo abbiamo mai amato. «Ma questa invece non la sapete, dottore, qui un tempo c'era la Trattoria dei garofani, qui, su questa discesa». Ed era la sorpresa eclatante di una estate di strada, lontano dal mare ed affollata di memoria estrema, con don Luigi. «Prima di D'Angelo e Le Arcate, prima del Vini e Cucina di Salvatore Pastore mio cognato, qui c'era la Trattoria dei Garofani, e che spettacolo...».


Ed in quella nuvola blu del tabacco di pipa, a crederci o no, era lo stesso sospeso incantesimo. Via Aniello Falcone, di buona grazia, a prendere e lasciare il sole come un pescatore di terra, don Luigi un po' come De André, la pelle dorata e l'anima bruna. Di mattino in mattino, il corsivo di un buon ricordo, senza aspettare il tramonto, la Trattoria dei Garofani, per indicare all'algido Bergman, tabacco Skandinavian, dove fosse ideale un posto per le fragole. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino