Michele, l'ex detenuto «apre» le porte del manicomio di Napoli

«È sempre bello tornare qui. Da uomo libero», sorride Michele Fragna, 54 anni, dal 1989 fino al 1994 rinchiuso nell'ospedale psichiatrico giudiziario in via...

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«È sempre bello tornare qui. Da uomo libero», sorride Michele Fragna, 54 anni, dal 1989 fino al 1994 rinchiuso nell'ospedale psichiatrico giudiziario in via Imbriani, e la sua storia di libertà s'intreccia con la rinascita di questo luogo occupato dopo la dismissione e riqualificato da ragazzi come Matteo Giardiello che a mezzogiorno, puntuale, apre il portone perché l'ex internato possa mostrare l'orrore e la speranza.


«Forza Michele, ce la puoi fare, resisti, resisti, resisto anche io... Non devo scoppiare...»: è una pagina del diario che il 54enne ha compilato allora, e oggi si trova di fronte alla sua cella, blindata e vuota. «Mi ha aiutato scrivere, declamare Amleto e, soprattutto, avere una famiglia: se non ne hai una è praticamente impossibile uscire», dice Fragna, mescolando passato e presente. Michele lavora part-time per il fratello medico, ha due sorelle, fuma le Rothmans bianche, studia Lingue e letterature straniere all'Orientale. Ed è un po' famoso perché già protagonista del documentario Je so' pazzo di Andrea Canova: scoperto grazie alla memoria e all'ostinazione di Franco Maranta che, negli anni Duemila, in qualità di consigliere regionale sottrasse all'oblio anche Vito, recluso per oltre 50 anni, simbolo di una ferita mai sanata e di un «popolo» che Michele definisce di dimenticati.

«Siamo invisibili/ siamo i vostri cattivi pensieri/ siamo i vostri brutti sogni/ siamo, malgrado la vostra indifferenza», recita i suoi versi davanti alla telecamera. E, alla fine del filmato, una voce fuoricampo chiarisce qual è la malattia, esplosa a 22 anni, che ha portato Fragna a uccidere un caro amico. «Ma se ci vediamo fuori vuol dire che sto bene», aggiunge lui al microfono, rileggendo una lettera a una donna.


«In cella m'innamorai di una psicologa» racconta ora. «Fuori, ne ho amata una conosciuta all'igiene mentale di San Giorgio a Cremano che mi ha dato tanto, fino alla morte, avvenuta da poco». Perché «è la vita che chiama», avvisa il cinquantenne in un'altra sua lirica, e «la mia mano destra è buona/ elabora sempre buoni propositi / si occupa di spagnolo e d'inglese/ è una mano socievole con cui è facile andare d'accordo...». Esempio di come si può essere felici dopo tutto, e restituire al mondo una Luce, che è poi il titolo di una sua raccolta di componimenti. Sotto un albero di mimose piantato nel giardino, Fragna consegna questa pagina del voler dire e del voler fare: «Sono anch'io la storia. Anche io...». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino