Se già Patti Smith sembrava un elefante in una cristalleria, è davvero difficile immaginarsi Bob Dylan tra i «pinguini» e le teste coronate del Grand...
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Se l'antica amica Patti Smith si è commossa, ha dovuto chiedere scusa di non ricordare bene le parole e chiedere il permesso per cantare di nuovo dall'inizio il capolavoro folk «A hard rain's a-gonna fall», ben altri, e più pregnanti perché non provenienti dal suo campo, gli elogi rivolti all'uomo di «All along the watchtower». Ai Baricco (chi?) e ai tanti critici togati scandalizzati ha risposto senza mezzi termini Horace Engdahl a nome dell'Accademia di Stoccolma, presentando il Nobel al fantasma della cerimonia: «Bob Dylan è stato uno shock. Il pubblico che si aspettava canzoni folk si è trovato davanti un giovanotto con la chitarra che fondeva il linguaggio della strada e della Bibbia in un nuovo elemento che avrebbe fatto sembrare la fine del mondo un replay superfluo. All'improvviso tutta la poesia del mondo è sembrata anemica, mentre le parole delle canzoni che i suoi colleghi continuavano a scrivere sembravano come la vecchia polvere da sparo dopo l'invenzione della dinamite» (che, per inciso, fu opera di Alfred Nobel). A quel punto, ha continuato l'accademico, «la gente aveva smesso di paragonare Dylan a Woody Guthrie e Hank Williams evocando invece Blake, Rimbaud, Whitman, Shakespeare. Aver riconosciuto la rivoluzione attribuendo a Dylan il Nobel sembrava al momento audace: ora sembra già ovvia». Talmente ovvia da permettere di collegare il suo rockeggiare pallido e assorto, i suoi talkin' blues, il suo folk lancinante, i suoi mille cambi di umore e di visuale con l'antica poesia greca di cui, però, non conosciamo la musica. E di azzardare una definizione psichedelica: «È come l'Oracolo di Delfi che legge il tg della sera».
Dov'era intanto, Sua Bobbità, cosa facesse, che cosa pensasse ieri sera non è dato sapere. Né hanno mostrato di essere particolarmente curiosi i protagonisti della cerimonia sul palco decorato con 22 chili di fiori rosa di Sanremo. Anche se qualche idea su che cosa siano quegli «impegni pregressi» il popolo dei dylaniani dylaniati inizia ad averla: il songwriter, terminata a novembre l'ennesima tranche del suo neverending tour pronto a ripartire nel prossimo maggio, sarebbe entrato in studio di registrazione con Daniele Lanois, per un atteso album di brani inediti, il terzo prodotto dall'uomo di capolavori come «Oh mercy» e «Time is out of mind». Un indizio in tale direzione è arrivato da un tweet di un ingegnere del suono fedele a Lanois, J. Higgis, presto cancellato dal web.
Ma tutto questo re Carl Gustaf XVI non lo sa, per lui ieri era una normalissima serata da Nobel, con la consegna dei premi per la fisica (Michael Kosterlitz, David Thouless e Duncan Haldane), per la chimica (Jean-Pierre Sauvage, Bernard L. Feringa e sir J. Fraser Stoddart) per la medicina (Yoshinori Ohsumi), per l'economia (Bengt Hollstrom e Oliver Hart). Per tutti loro discorsoni, abiti da cerimonia, medaglie e ottocentomila e passa euro. Per Dylan parole in contumacia aspettando se davvero, entro sei mesi, si deciderà di leggere un discorso di ringraziamento, per non perdere titolo e soldi. E le lacrime di commozione dell'amica e collega, in quanto rocker e poetessa, Patti. In Bob signo vinces.
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Il Mattino