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VENEZIA - «Sarebbe riduttivo dire che il nostro è un film sul caso Braibanti. È un film su una grandissima storia d'amore tra un uomo e un ragazzo. Molto autobiografica». Gianni Amelio è uomo di passioni e di battaglie. E per passione civile ha accettato la proposta di Marco Bellocchio di raccontare la storia di Aldo Braibanti in un film importante e classico, «Il signore delle formiche» (in sala da domani), che lo ha coinvolto sul piano professionale e personale e che ieri lo ha riportato, quarto italiano, in gara a Venezia dove nel 1998 vinse il Leone d'oro con «Così ridevano».
Ex partigiano, filosofo e drammaturgo, etologo raffinato, alla fine degli anni Sessanta Braibanti fu processato e condannato a nove anni con l'accusa di aver plagiato in senso fisico e psicologico un giovane allievo, da poco maggiorenne e consensuale, che la famiglia aveva cercato di «curare» con devastanti elettroshock. Il caso fece scalpore e divise l'opinione pubblica. Alcuni anni dopo il reato di plagio fu cancellato dal codice penale. «Sono felicissimo del film, credo sia una delle cose migliori che ho fatto e lo seguirò ovunque, fino nel'ultima sala parrocchiale» dice il maestro, 77 anni, con disarmante sincerità. «Ma io non sono felice per niente. Durante le riprese ho vissuto una storia d'amore molto tormentata e questo tormento non passa. Ho scoperto di avere le stesse fragilità di Aldo Braibanti e l'affinità forse ha giovato al film, certo non a me. Braibanti si era innamorato, e anche io. Non sono finito in carcere come lui, ma mi sono chiuso in un carcere tutto mio».
Nei panni del protagonista, arrogante e tenero, sicuro di sé ma anche intimamente fragile, Luigi Lo Cascio è perfetto. Dice: «Non lo conoscevo, mi ha affascinato la complessità dei suoi comportamenti, sono stato colpito dai suoi silenzi enigmatici e dall'uso sapiente che faceva delle parole, ammirato persino da Carmelo Bene». «Né mostro né santo», aggiunge il regista, «la sua storia dice molto di un'epoca in cui gli omosessuali erano invertiti con due sole prospettive: guarire o morire. Lo dice un personaggio del film e lo dissero anche a me, in Calabria, quando avevo sedici anni». Elio Germano, che sta lavorando a un progetto su Berlinguer, è un giornalista dell'Unità che si impegna a ricostruire la verità, affrontando sospetti e censure all'interno di un partito, il Pci, decisamente bigotto in tema di relazioni personali. Commenta: «Oggi come allora si vive la distanza tra la politica delle necessità e i partiti incapaci di rappresentare i cittadini, visti più come clienti che come interlocutori. Il profitto ha preso il posto della passione». Nei panni dello studente ricoverato a forza e poi abbandonato dalla famiglia c'è Leonardo Maltese, che molti già vedono vincitore del premio Mastroianni, mentre nel ruolo della madre codina e conservatrice fa il suo felice esordio nel cinema una primadonna della lirica, Anna Caterina Antonacci.
Artista di passioni civili, Amelio non teme di prendere posizione (e in conferenza stampa polemizza anche con un incolpevole critico per un titolo di una vecchia recensione) e non si sottrae a una riflessione sui problemi dei nostri tempi.
Il Mattino