Galeazzi, le telecronache e il racconto senza barriere che ci ha portato al centro dello sport

Quel calcio d’una volta, quel bel calcio che non c’è più, sommerso com’è di debiti e plusvalenze, di Var e di schemi, di fortezze...

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Quel calcio d’una volta, quel bel calcio che non c’è più, sommerso com’è di debiti e plusvalenze, di Var e di schemi, di fortezze inespugnabili quali sono diventati centri d’allenamento e spogliatoi, e, per contrasto, strombazzatissimi post messi in rete da chiunque si faccia un account pure se falso, quel calcio nel quale i procuratori erano in seconda o terza fila e i tifosi, abbonati e no, in prima, ha perduto oggi con Giampiero Galeazzi un altro pezzo. E che pezzo! Grande e grosso. Tanto grosso che, per via delle mole, lo chiamavamo tutti, amici, conoscenti e no, “Bisteccone”. Non era bullismo né bodyshaming: era ironia. Era lo sfottò che c’era e che non c’è più, senza la smania del politically correct.

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Galeazzi e il nuovo modo di raccontare lo sport

Lo ricorderemo, e lo ricorderanno, “Bisteccone” per molti e svariati motivi: per quelle cronache che ti scatenavano l’ansia e l’adrenalina del canottaggio, per quei siparietti domenicali con Mara Venier, per quei toni magari a spreco di decibel che oggi vengono imitati da troppi cantori, forse stonati, del “calcio giocato” in tv, quando ogni piccola cosa viene raccontata come fosse un’impresa.

 

 

Galeazzi no. Il calcio di Giampiero era altro. Era ben altro, si direbbe. “Bisteccone” ci ha portato dentro casa lo spogliatoio, l’immediatezza della frase verace, del protagonista campione che non aveva stduiato la parte ma che Galeazzi ci proponeva così, per quello che era, in quel previso momento. Che fosse il momento dello scudetto, quello della Roma o quello della sua Lazio, arrivando magari seminudo alla mèta, ma arrivando anche al cuore della vicenda; c’era forse Maradona in mutande, e chisseneimporta del logo dello sponsor da mettere in mostra; c’erano, è successo, le Pantere della polizia che entravano sul sacro suolo dell’Olimpico di Roma a prendere ricercati per lo scandalo del calcioscommesse. C’era Galeazzi e dunque c’eravamo tutti noi anche se non c’eravamo fisicamente: bastava che ascoltassimo il suo racconto, partecipe e concitato, per sentirci presenti, ora alla gloria, ora alla disfatta, ora al bello del calcio, ora al suo lato oscuro.

Ecco: questo era il mondo di quel tempo, che Galeazzi sapeva farci vivere con la sua voce, con il suo ingombro come se fossimo tutti lì. Addio, “Bisteccone”, come per primo ti chiamò Gilberto Evangelisti. Ci hai fatto sognare e infuriare sentendoci anche noi al centro di ogni vicenda, e senza il distacco che la contemporaneità di questo calcio senz’anima ci suggerisce in questi tempi di post e di followers, di catene di destra e falsi nove. Il tuo racconto era senza barriere perché non era, come non è, “sempre colpa dei giornalisti” né della “ggente” che va tenuta alla larga. Tu ci portavi dentro, e il calcio, quel calcio, lo permetteva ancora. Riposa in pace.

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Il Mattino