Vincenzo Salemme ha i minuti contati: ha appena finito a Formia le riprese in notturna del film «I compromessi sposi» con Diego Abatantuono e già corre alle...
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Allora Salemme, eccola diventato romanziere.
«In verità avevo scritto un soggetto per un film drammatico su un attentato, ma non era facile montarlo, la mia storia di autore è molto votata alla comicità. L'amico e socio produttore, Giampiero Mirra, mi suggerì di trasformarlo in romanzo, e così io mi sono divertito a scriverlo».
Perché ha scelto la chiave del noir?
«Perché sono un lettore appassionato di gialli e di thriller, soprattutto americani. Mi piacciono i libri di Connelly, di Jeffery Deaver e il primo Ken Follett, di una bravura pazzesca».
E gli italiani?
«Ammiro molto Camilleri e il nostro De Giovanni, bravissimo, mi piacciono Dazieri, Carlotto e Lucarelli e i thriller di Luca Di Fulvio che per certi versi mi ricorda Stephen King».
I suoi protagonisti indagano su una vecchia inchiesta, come in un gioco di scatole cinesi.
«Perché nulla è come sembra e nessuno è come dice di essere. Difficile separare il bene dal male, soprattutto quando c'è di mezzo l'amore. Il mio libro parla proprio delle tante sfumature che può assumere l'amore».
Sfumature pericolose?
«Anche. Da forza positiva l'amore può trasformarsi nel suo opposto, può diventare una forma di cecità, fino a cambiare la natura dell'uomo. L'amore è un sentimento sopravvalutato, perché mette insieme troppe variabili: ti può consumare, far dimenticare la realtà delle cose, può diventare un allucinogeno, generare possessività, odio. A un personaggio di una mia commedia facevo dire: Non si può amare per essere felici, bisognerebbe essere felici per poter amare. Almeno, io la penso così».
Il giudice che muore nell'attentato indagava sui rifiuti tossici: un tema molto sensibile per la Campania.
«Un problema per l'umanità, mica solo nostro. Diciamo che per molti aspetti Napoli è l'avamposto del mondo occidentale, un territorio all'avanguardia in tutti i sensi».
Nella storia i figli hanno il loro peso e il libro ha una dedica molto tenera: «A mia figlia, che corre felice sulla spiaggia di Miliscola inseguendo i nonni...». Ce ne vuole parlare?
«Molti anni fa io e mia moglie perdemmo una bambina appena nata, l'avevamo chiamata Sara... Ecco, io considero sempre che ce l'ho, una figlia, magari mi sente... L'ho immaginata felice sulla spiaggia della mia fanciullezza, assieme ai miei genitori da giovani. Li penso sempre così, com'erano negli anni Sessanta, un'epoca di leggerezza e di fiducia nel futuro. Se quelli della mia generazione, i cinquanta-sessantenni, non sono tanto male, è perché hanno respirato quell'atmosfera lì. Vorrei che i ragazzi di oggi potessero vivere con la stessa positività».
Il tempo che passa le fa paura?
«Mi dispiace per le persone che si perdono e che lasciamo per strada. Dovremmo portarci tutto dietro, come le matrioske russe. Mi viene in mente una poesia di Eduardo, 'A sagliuta, dice: Chi more doppo, more overamente'. Il tempo che passa non mi fa paura, m'immalinconisce».
Che cosa apprezza della maturità?
«Ho capito davvero che la vita è una e ogni giorno che viviamo passa per sempre. Quindi, cerco di vivere appieno, facendo quel che mi appassiona».
Dopo il teatro, il cinema, la scrittura, quali territori vorrebbe esplorare?
«Ogni lavoro è una strada nuova, una nuova avventura. Mi piacerebbe fare un'esperienza alla radio... In ogni caso, cerco sempre di rimanere onesto con me stesso, di non vendere quel che non sono né di sembrare più importante di quel che sono».
Che cosa le ha dato l'incursione nella scrittura?
«È stata un'esperienza curiosa, il libro mi ha fatto compagnia. I personaggi ancora ce li ho addosso, li sento, come se fossero la mia famiglia». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino