Morgan a Napoli: «Io e Bugo? Ci vorrebbe una reunion a San Siro»

Morgan a Napoli: «Io e Bugo? Ci vorrebbe una reunion a San Siro»
La scaletta? Morgan un'idea se l'è fatta per la sua esibizione stasera nel piazzale di San Martino, ospite con il Canzoniere Grecanico Salentino di «Musica,...

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La scaletta? Morgan un'idea se l'è fatta per la sua esibizione stasera nel piazzale di San Martino, ospite con il Canzoniere Grecanico Salentino di «Musica, identità e rivoluzione», il festival diretto da Eugenio Bennato nell'ambito di «Estate a Napoli». Ma, appunto, è solo un'idea.


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Che cosa suonerai questa sera, Marco?
«Vorrei rendere un omaggio a Napoli capitale della canzone, ma scegliendo degli autori atipici».

In che senso?
«Non vengo a Napoli a dar lezione di Bovio o Di Giacomo. Però potrei fare qualcosa di Rodolfo De Angelis, mi sembra che anche in patria sia poco frequentato».

Il cantante futurista?
«Ma certo, quello di Ma... cos'è questa crisi?. E poi, magari, il maestro Roberto De Simone».

Magari «Cavallo a dondolo», che hai ripescato in passato per un tuo disco dal suo unico lp cantautorale, «Io, Narciso io»?
«Sì, era in un lp del 1977, persino i napoletani non lo conoscono o lo hanno dimenticato, io no, sono un collezionista di canzoni, ne conosco a migliaia. Poi, sistemato il genius loci, renderei omaggio al Morricone di Sacco e Vanzetti, non rifacendo Here's to you però, ma la partitura ispirata a una lettera dal carcere di Vanzetti al padre. Poi farò delle cose mie, ma... in realtà dipende da quel che mi trovo di fronte. Il panorama di Napoli, certo, ma conta tanto anche il panorama umano, non ho mai amato gli show che si ripetono tali e quali. Ai miei colleghi piace, io preferisco l'effetto sorpresa, anche solo sapere che è possibile una sorpresa rende tutto più interessante, nella vita come sul palco. È quello che piace al pubblico, è quello che piace anche a me. Quasi quasi cito Umberto Tozzi: Gli altri siamo noi».

La pandemia sta ridisegnando i confini della vita degli artisti.
«La mia vita è stata ridisegnata prima dalla sentenza che mi ha cacciato fuori di casa mia, a cui ho dedicato anche un libro, La casa gialla. Le case degli artisti dovrebbero essere sacre, e lo dico a Napoli, dove, mi hanno detto, le case di Totò, di Enrico Caruso, di Pino Daniele per dirne solo qualcuna, non sono musei. Ecco, questa è l'Italia, non riconosce il genio in vita, ma nemmeno post mortem».

Ma come si riconosce un artista?
«Un artista è chi sa rappresentarsi: gli animali possono costruirsi una casa, procurarsi il cibo, migrare, ma non sanno rappresentarsi».

Ma non tutte le rappresentazioni sono eguali.
«No, però quando sei di fronte a un'opera di un artista lo capisci. Foucalt nella sua Storia della follia nell'età classica torna sempre sul paragone tra matti e artisti. Entrambi sono strani, vivono ai margini della società, non sono capiti e forse non vogliono nemmeno essere capiti. Ma gli artisti prima o poi sfornano un'opera, i matti no».

L'opera più famosa di Morgan negli ultimi tempi è stato lo show situazionista a Sanremo.
«Senza Guy Debord non possiamo più parlare di situazionismo, di società dello spettacolo, altrimenti piuttosto che artista vengo preso per un matto. Di sicuro la performance sul palco dell'Ariston che ha spinto Bugo a scappar via non è stata soltanto il momento più alto, più vivo e più seguito dell'ultimo Festival - sia chiaro, io conosco a memoria tutte le canzoni di tutti i 70 Festival finora svoltisi - ma anche un momento di educazione culturale nazionale: Le brutte intenzioni, la maleducazione, la tua brutta figura di ieri sera, la tua ingratitudine, la tua arroganza... Da quanto tempo in Italia piccoli e grandi non imparavano a memoria una poesia?».

Un punto di vista interessante. Ma a sei mesi da quella serata che bilancio ne tracci?
«Ottimo, perché alla fine ho capito chi era davvero Bugo, che consideravo un amico. Perché siamo qui io e te a parlare di musica ed artisti e stasera suonerò su invito di Eugenio Bennato, è bello ritrovarsi tra artisti. Però anche sprecato».

Bilancio sprecato? In che senso?

«A Bugo e il suo staff non manca solo l'educazione e il rispetto - per me, per il pubblico, per Sergio Endrigo massacrato nella serata delle cover - ma anche il senso del business: quella scena tra di noi l'avremmo dovuta trasformare in qualcosa che fruttasse soldi, magari una reunion a San Siro. E, invece, non ne abbiamo incassato niente, né lui, né io. E gli artisti veri a queste cose stanno attenti». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino