«Così fan tutte» al San Carlo: nella Napoli di Mozart dove il suono si fa gioco

«Così fan tutte» al San Carlo: nella Napoli di Mozart dove il suono si fa gioco
Il «Così fan tutte» andato in scena ieri al San Carlo (repliche fino a sabato 2 aprile) riprende l'allestimento riuscito, con regia di Chiara Muti, che a...

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Il «Così fan tutte» andato in scena ieri al San Carlo (repliche fino a sabato 2 aprile) riprende l'allestimento riuscito, con regia di Chiara Muti, che a Napoli debuttò nell'autunno del 2018. Eppure sembra uno spettacolo abbastanza diverso perché non è vero soltanto che la parte visiva incida sulla resa musicale, ma vale anche il contrario. E tutto quello che, allora, sembrò deliziosamente coerente, con musica e scena a scivolare sul doppio binario condiviso di finzione-realtà in un gioco di rimandi raffinato, stavolta non sempre raggiunge il medesimo effetto seduttivo. Per quanto, sempre di Mozart e sempre di un capolavoro assoluto si parli. Gradevole, dunque, oltre ogni rilievo soggettivo.

Dan Ettinger, a capo dell'orchestra del San Carlo, profonde energia nel cimento e anche innegabile cura, se parliamo per esempio dei recitativi trattati in prima persona al fortepiano. La scelta dei tempi musicali, spesso estremi (dal lento troppo lento al frequente veloce troppo veloce, senza mezze misure e mezze tinte) è evidentemente tarata sull'andamento della vicenda, mantenendo una pertinenza complessiva. Ma Mozart non è una semplice colonna sonora, per cui più bello sarebbe piegarsi al senso della parola cantata, provare a evocare il non detto, scoprire attraverso l'allusione dottissima la concretezza di una musica che, all'occorrenza, diventa anche sensuale. Miracolosamente.

Tutto questo nel «Così fan tutte» ascoltato ieri quasi non c'è; la qual cosa non esclude che il supporto alle voci sia per lo più adeguato, la malinconia affascinante del finale (e non solo) affiori tangibilmente, la nitidezza oggettiva della pagina scritta venga trattata con rispetto. L'ultima volta che quest'opera era passata al San Carlo - dirigeva Riccardo Muti - fu emozionante scoprirne i molti dettagli di classe racchiusi entro scelte di colore e di forma, non esibiti in termini di esercizio di stile ma rivelati, piuttosto, quali componenti essenziali del felicissimo meccanismo teatrale. Stavolta no. Ma è chiaro che un monumento al teatro, come quello di cui stiamo parlando, offra piani di lettura e di fruizione diversi e articolati, e non sarà affatto punitivo accontentarsi del fatto che l'orchestra del San Carlo suoni con lena, attenzione al fraseggio e pulizia di accenti anche solistici, senza voler cercare per forza quella nobile profondità di accenti cui si accede, avendone la forza, per sottrazione, con la corretta gestione delle pause. Se pretenziosi si prova ad essere, semmai, è proprio perche qualcuno, dal podio di questo stesso teatro e con l'identico strumento, aveva innalzato l'asticella del piacere.

La regia disegnata da Chiara Muti funziona bene, comunque, a prescindere dal livello di sinergia con la parte musicale, perché ha il pregio della linearità e possiede una leggerezza che, come quella di certe favole sin anche crudeli, non è mai banale. I tennisti che si sfidano e le giostre che roteano in un bagliore a tratti inquietante richiamano l'innocenza del gioco ma, allo stesso tempo, la corrompono, in qualche maniera, la travestono e la svestono: non è forse nel mascheramento assiduo che gli eroi mozartiani rinunciano alle loro millantate pretese di ingenuità? La sfida di «Così fan tutte» sta nella scelta stessa, da parte dei suoi due autori, di Napoli quale contenitore emotivo possibile. Nella capacità di conciliare la sregolatezza della città «dei laceroni» con le geometrie di un'opera cesellata fino in fondo si attua, alla fine, il prodigio teatrale. E nella coesistenza dei due registri, appunto, questo spettacolo - supportato dalle scene semplici e antididascaliche di Leila Fteita, dai costumi eleganti di Alessandro Lai, dal disegno luci efficace di Vincent Longuemare - cerca e trova un tratto di ineludibile devozione all'originale.

Cast giovane e animato da sano entusiasmo. La Fiordiligi di Mariangela Sicilia si segnala per morbidezza vocale ed una linea di canto accorta, espressiva senza cedimenti patetici. Serena Malfi, dal timbro corposo e per lo più omogeneo, tratteggia una Dorabella vivace, con generosi slanci dinamici che aggiungono smalto al personaggio e solo talvolta vorrebbero più attenzione verso la parola. Spiritosa e calzante la Despina di Damiana Mizzi, voce fresca e non ordinaria. Nel trio maschile, Paolo Bordogna è un don Alfonso rodatissimo, sornione e arguto, scenicamente prezioso. Alessio Arduini (Guglielmo) e Maxim Mironov (Ferrando) assolvono al riparo da impacci al compito grato di protagonisti, entrambi con buona padronanza di fraseggio, il primo senza squilli particolari ma con timbro appropriato, il secondo con punte di arguzia e lirismo specialmente apprezzate.

Il coro del San Carlo (preparato da José Luis Basso) prende parte alla festa mozartiana: non ha un ruolo decisivo, ma è anche di apparenti dettagli che vive un capolavoro. Applausi cordialissimi del pubblico, un attimo prima della fuga di mezzanotte, o quasi.

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Il Mattino